sole negli occhi o fame dell’isola?

“Se uno ha paura di essere buono allora è la fine di tutto. Spegniamo tutte le luci, riconsegniamo le chiavi e ce ne andiamo. Avere paura di essere buono è la diffidenza più indecente che si può mettere in campo. Non la sopporto neanche come provocazione.”

Pupi Avati a TvBlog

Questa sera ha luogo uno scontro di raro interesse perché ad affrontare la prima puntata effettiva dell’Isola dei Famosi, ci sarà il film per la televisione ‘Con il sole negli occhi‘, diretto da Pupi Avati, con Laura Morante, Paolo Sassanelli, Lina Sastri, Michele La Ginestra, Claudia Potenza, Gianfranco Jannuzzo, Daniela Poggi nonché, soprattutto, il piccolo tunisino Amor Faidi.

Il Maestro non si è detto preoccupato per il catodico duello, ha semplicemente dichiarato:

“Ci sarà chi titolerà ‘L’Isola dei famosi batte Avati’. Siamo preparati. Ma tutto ciò non priverà di senso il film che abbiamo fatto”

Co-prodotto da Rai Fiction e dalla DueA Film, ‘Con il sole negli occhi’ è l’incontro tra una donna avvocato, divorziata e senza figli, ed un bambino, Marhaba, scappato dalla Siria per cercare i suoi fratelli e la sua famiglia.

Marhaba mostra a tutti la fotografia dei fratelli, che si è portato dalla Siria e l’avvocato Astrei, notatolo, lo prende in affido, restituendo significato ad un’esistenza che sembrava naufragare dopo il fallimento del matrimonio.

Si incontrano due sogni, in verità, quello del bimbo che deve ritrovare i suoi affetti e quello di una donna che li deve ancora esprimere; due solitudini, per dirla con Avati, che non creano una solitudine più grande ma, al contrario, l’annullano.

Il bambino riuscirà comunque a ritrovare i suoi cari, in Germania.

“Abbiamo depredato alcune aree del pianeta nell’impunità più totale e adesso paghiamo, un conto non indifferente. Ma la responsabilità è nostra, dei nostri genitori e delle generazioni precedenti. L’Africa è stata razziata. Non si può pensare che tutto duri per sempre. Oramai non c’è più nulla da prendere e loro sono in queste condizioni. Abbiamo bisogno di esseri umani che producano, in tutti gli ambiti, ricongiungimenti. Il genocidio che si consuma nel Mediterraneo aveva bisogno di essere raccontato attraverso un’ottica totalmente diversa da quella dei media. C’è un aumento di questi disastri e di questi lutti, direttamente proporzionale alla diminuzione dell’interesse dei media. Queste notizie non vanno più in prima pagina, non interessano più nessuno perché si parla sempre di numeri che non hanno niente a che fare con noi. Ma se racconti la storia di uno di loro, e di un bambino in particolare, queste persone diventano più seducenti. Descrivere la vicenda di questo bambino significa raccontare l’immediatezza di un contatto.”

Avati riconosce alla televisione la capacità di raccontare certe tematiche d’attualità, laddove il cinema sembra piegato alle esigenze di mercato in misura quasi esclusiva:

“questo è un film per la televisione e non potrebbe essere mai un film per il cinema. Nessun distributore, nessuna società di produzione cinematografica ci avrebbe dato modo di raccontare questa storia. Oggi il solo cinema che si fa, fatte salve alcune rarissime eccezioni, è un cinema di puro intrattenimento. Sono sincero, in questo momento non ho altri interlocutori. Il mio cinema può solo andare solo in televisione”

Il film-tv, girato in sei settimane, con 4-5 giorni di lavoro a Berlino e alcune scene riprese a Lampedusa, si avvale del patrocinio dell’Unhcr, (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e dell’Associazione Centro Astalli- Jrs Italia.

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