I peccati di Monicelli

Sinners (dall’inglese: Peccatori) era un programma ispirato ai Dieci comandamenti e ai Sette peccati capitali. Nell’arco delle diciassette puntate, il fior da fiore dei professionisti del piccolo e grande schermo ci aprì il suo mondo e ci consentì di verificare quanto la decodifica tradizionale del peccato sia ancora attuale e in che misura possa appartenere a chi lavora oggi nello spettacolo.
Come ho già fatto con l’intervista rilasciata da Michel Piccoli su Tognazzi, (vedi) ripropongo oggi quella di Monicelli:

Monicelli e la provincia
…in generale mi sono sempre occupato di film in cui la provincia fosse rappresentata, intanto perché sono nato in provincia io, sono un provinciale, e quindi conosco bene l’ambiente, e conosco soprattutto quello che si svolge alle spalle della provincia, all’interno, la famiglia, le persona che circolano, eccetera. Ed offre un materiale molto vasto di ironia, di cattiveria se vogliamo, citando Parenti serpenti, è abbastanza tipico della famiglia di provincia, dovendo poi fare un film tutto sommato divertente, una farsa, bisognava sottolineare di più anche certi difetti, di quanto non lo siamo in realtà.

Monicelli e le festività
… beh, perché il periodo natalizio – ci sono pochi periodi, Natale, Pasqua, forse qualche compleanno – in cui la famiglia è tutta riunita insieme perché… famiglia di adulti… fossero bambini, va bene, ma adulti, ognuno c’ha la sua vocazione, però per Natale ci si trova tutti insieme, per cui appunto vengono fuori antichi rancori, basta pochissimo per far venire fuori i rancori degli anni passati, dei nonni, addirittura anche degli antenati, e avvengono delle cose ridicole ma che a volte sono anche drammatiche.
(…)Sì, appunto, tutta questa famiglia, che sembra molto unita, si vogliono tutti bene, intanto perché si ritrovano abbastanza saltuariamente, e poi perché a Natale si è tutti buoni, ci si vuole tutti bene, si fanno le feste, eccetera, però poi quando sorge una questione molto grave, lì si parlava chi si accolla i genitori o qualsiasi altro tipo di responsabilità viene fuori la verità, la realtà, nessuno si vuol prendere le responsabilità, nessuno se le vuole accollare, e poi vengono fuori le accuse, eccetera. E poi se ne possono inventare quante se ne vuole, ecco.

La realtà de I soliti ignoti
Mah, sa, in questo mestiere, non solo facendo cinematografo, ma facendo spettacolo, specialmente, se vuole anche il letterato, il romanziere, si cerca sempre di rappresentare la realtà che ci circonda, e quindi ne I soliti ignoti abbiamo voluto rappresentare una realtà di sottoproletari, non sono nemmeno povera gente, sono proprio fra i sottoproletari, gli accattoni, che si arrangiano, eccetera, per gettare uno sguardo come quello che ho gettato io all’epoca dei Soliti ignoti, esisteva a quei tempi una forma di delinquenza direi anche affettuosa, incapace, che cerca di poter raggiungere chissà quali risultati e che poi non raggiunge mai niente, ma è un po’ un motivo ricorrente nel mio cinema, delle persone, dei gruppi, ma anche dei soli che tentano di raggiungere risultati superiori alle loro possibilità, falliscono. Il fallimento genera al tempo stesso un po’ di ridicolo, un po’ di malinconia, ecco.
Ma perché c’erano! Stavano scomparendo, ma il ladruncolo, che vive nella baracca di periferia, che non va in giro con le bombe con i mitra, all’epoca c’era, io da giovanotto l’avevo vissuta molto bene quel tipo di delinquenza minorile, esisteva, ci sono le storie, oggi se si mettono insieme otto, dieci persone, che vogliono far saltare il caveau di una banca o un ufficio postale non lo fanno certo con quei mezzi lì, mezzi che comportano tritolo, bombe, omicidi, sangue, eccetera, non è vero nemmeno questo, ho esagerato, ‘sto mezzo ci viene dalla società americana, allora la cosa era reale, non era inventata.
Ma io mi rendo conto semplicemente della verità di certi personaggi che ho conosciuto, che ho letto, che ho rubato da altri film importanti, romanzi… oppure che ho conosciuto, io e gli altri sceneggiatori con cui ho lavorato, mi rendo conto della realtà, della verità dei personaggi, non tanto degli stereotipi che si vedono dappertutto. Invece la cosa che può fare piacere nei personaggi non sono personaggi che hai già visto altrove e da cui ti aspetti i comportamenti, ma personaggi insoliti, ecco, inaspettati, e perché sono presi dalla realtà, solo per questo. Basta saperle cogliere un po’ dalla realtà e le cose vanno a posto da sole.

Perché il cattivo funziona?
Ma perché in genere il cattivo, che fa il cattivo, a parte quelli che faccio io che sono degli incapaci, combatte delle battaglie con delle forze che sono sempre superiori alle sue, combatte contro la polizia, contro lo Stato, e quindi combatte con una forza che lo espone molto, e quindi lo spettatore si schiera dalla parte del più debole, in generale, contro lo Stato. Lo Stato non è mai amato dal pubblico, dal cittadino, se qualcuno si mette contro il cittadino gli fa simpatia allo spettatore , questa credo che sia la ragione, che dovunque sia così.

Cinema e società
È cambiata la società in Italia, non il cinema, il cinema è cambiato ma è cambiata soprattutto la società. E la società è una società che vive su una legge principale che è il mercato, è la sopraffazione, il fatto di doversi guadagnare un posto nella vita, da poco o da tanto che sia, di sopraffarsi, perché si incontrano sempre degli ostacoli, cioè non si cerca mai di ottenere delle cose con l’intelligenza, con l’amicizia o con la commozione, se si vuole, ma si cerca sempre di ottenere quello che si vuole il più rapidamente possibile, con la forza, poiché la legge che vive oggi nel mondo occidentale è la legge del mercato, che è la legge peggiore, più spietata che esiste, non esiste altra legge peggiore che quella del mercato.
(…)
L’esistenza di questi sottoproletari è basata sulla sopravvivenza, ognuno di essi ha una fonte di guadagno minima, e quindi l’unica maniera per guadagnare qualcosa è sottrarla in qualche maniera, o con l’astuzia, o con la forza, o con l’intelligenza, quindi una lotta per la vita che comporta quei comportamenti, che una volta erano quelli di una società tutto sommato quasi patriarcale , invece siamo abituati a vedere uno che si fa largo con mezzi molto più sbrigativi ed efferati, direi, di quanto non fosse allora. La spinta, lo stimolo è sempre quello, quello di affermarsi, di tirarsi fuori da una situazione per guadagnare una situazione migliore, in genere si cerca di fare il passo più lungo della propria gamba, o cercare di farlo. Poi c’è chi ci riesce e c’è chi non ci riesce.

La commedia all’italiana
Mah, la commedia all’italiana è una cosa che… vabbe’, dalla critica cinematografica in Italia è stata trattata come spazzatura, il povero Totò è stato maltrattato in tutte le guise, eccetera, prima di essere rivalutato, e quindi tutta la commedia in italiana. È una realtà che viene da molto lontano, mica è stata inventata da noi, specie in estinzione, negli anni Quaranta e Cinquanta, quindi viene da lontanissimo, viene dalla nostra tradizione, direi, di commedia, di umorismo, comica, viene addirittura dalla Commedia plautina, prima di essere dei nostri giorni, nostri per modo di dire, viene dal Boccaccio, tra i racconti del Boccaccio ce ne sono alcuni che sono veramente feroci, atroci, la cornice in cui si svolge il Decamerone è una villa durante la peste, per esempio, e già la cornice è una cosa sinistra, macabra, tutta la commedia che si faceva in Italia negli anni del Rinascimento era tutta sulla turpitudine, vedi la Mandragola, vedi il Machiavelli, vedi il Ruzante, è una tradizione che noi abbiamo di divertirci sui mali altrui, sulla morte, ridere sulle disgrazie, e trarre motivo da queste situazioni per trarne divertimento, la novità, la grande qualità che rende la commedia all’italiana commedia all’italiana, che è un termine nato con fini dispregiativi, per copiare Jeremy quando fece Divorzio all’italiana , e poi adesso è diventato invece elogiativo.

Monicelli e Cinecittà
Io a Cinecittà … non so, io ho fatto più di sessanta film, una trentina ne avrò fatti a Cinecittà, ho lavorato moltissimo, comunque a teatro non sono mai andato volentieri, preferivo girare fuori dal teatro, dal vero, non ho sempre avuto bisogno di andare in teatro. Con le maestranze mi sono sempre trovato molto bene perché basta sapere quello che si vuole e sia la maestranza , così detta, l’elettricista, il macchinista, l’attore, che fa parte della maestranza, ha un solo desiderio, che ci sia uno che sappia quello che vuole e che si esprima chiaramente, eccetera. Quindi se un regista ha le idee chiare e sa come esprimersi, sia al pittore della piccola cosa, sia al costumista che deve dare quelle scarpe, sia all’attore che vuole evolversi in quella maniera, tutto fila tranquillamente, senza alcun problema, senza guai, in maniera piacevole, non faticosissima, salari eccessivi.

I segreti del mestiere
(…) il regista è tutto. Intendiamoci, poi ci sono dei film in cui chi da l’impronta al film non è il regista, ma l’attore, un attore molto importante, può essere lo scenografo addirittura, lo dico in maniera straordinaria, è molto raro però avviene anche questo, nelle disposizioni, per regolare le cose, per dire quello che uno ha in mente, qual è il racconto, come lo vuol raccontare, qual è il linguaggio cinematografico, usando eccessivamente la macchina, lasciandola ferma, posizioni che sono fantasiose, gru e alte cose del genere, non lo so, ognuno c’ha una propria idea, però tutto dipende da lui. Tutti sono in attesa di sapere delle cose e se queste cose le sanno, poi, sa, l’ambiente, qualsiasi ambiente, della moda, dello spettacolo, del cinema capisce subito se chi ha in mano la cosa sa quello che vuole, anche se sbaglia, eh, intendiamoci, non è infallibile, ma l’importante è dare il senso della sicurezza, e la troupe se ne accorge subito. Se vede che il suo regista, dal quale dipende, è uno sicuro di sé piglia e va avanti fino in fondo, tanto non segue molto, del film gliene importa poco, se invece si accorge che il conduttore, il regista, non sa bene quello che vuole, è indeciso, eccetera, allora le cose vanno molto male, perché la troupe non lo segue più, non ha più voglia di perdere del tempo, e si perdono dei lavori nell’attesa che il regista si decida, e intanto si perde il tempo, e loro non tornano a casa, rompe con la fidanzata, con i figli, non può più andare al cinema perché si sfora, e così ci sono i malumori, e tutto dipende sempre da quello, è come il comandante di una nave, il comandante di una nave in fondo non è che faccia molto, sta in cabina, deve sapere qual è la rotta, cosa deve fare, cosa c’è da fare, qual è il momento opportuno, e quando c’è un tifone in prossimità, e allora tutti sanno fare il proprio lavoro.

Monicelli e la religione
Io non mi sono mai posto questo problema, io non ho nessuna appartenenza religiosa quindi … nessuno me l’ha chiesta, non ne ho mai avuto bisogno, ho fatto più di sessanta film, nessuno si è mai chiesto che religione seguissi io, cosa credessi, cosa pensassi della vita, della morte, di tutte queste storie, le pensano i bambini, i ragazzini, le pensano di meno quando uno diventa grande, se si fa adulto, se uno è adulto si pone sempre questi grandi temi che sono irresolubili, che uno è meglio se li lascia stare da parte.
Beh, ci saranno, penso di sì, poi non saprei. Poi, penso, ognuno ha il suo dio, possiamo fare delle cose in cui oltraggiamo il dio di chi vede una parte delle cose, poi non si è d’accordo, o noi non siamo d’accordo con lui, non è che c’è una religione unica, visto che lei parla di religione, ognuno ha la propria, infallibile, chiamano rivelazione, quindi tutta la gente che, da Maometto, a Gesù, non so… Budda, Confucio, eccetera… erano degli uomini che c’hanno avuto una rivelazione da Dio, e quindi se Dio ha rivelato questo, ognuno crede di avere la Verità, che se la tengano, e son contenti perché dopo andranno a godere le gioie del Paradiso.

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