Migranti. Al cinema e in tv.

Gli arrivi dei migranti sulle nostre coste sono ormai un appuntamento quotidiano ed è grave che le istituzioni europee non se ne curino, anche in considerazione del fatto che alcuni Paesi, come il nostro, sono decisamente piú esposti di altri e potrebbero non essere in grado di far fronte ad emergenze cosí ripetute e di cosí grave importanza (è la Geografia che fa la Storia, ricordiamocelo).

Il cinema e la televisione, che non di rado rivolgono il loro sguardo all’attualità, se ne occupano in almeno due lavori di prossima uscita;

il primo è Io sto con la sposa, del quale molto si sta parlando. Gabriele Del Grande, regista e autore, ha raccolto testimonianze, fotografie, storie delle persone vittime della tratta degli schiavi che ancora oggi affligge il Sud del mondo; si è poi messo in società con il poeta siriano Khaled Al Nassiry e con Antonio Augugliaro per realizzare un documentario a fin di bene, finanziandosi con la tecnica del crowdfuding.

Con i 98.151 euro raccolti da donatori residenti in Arabia, Italia, Egitto, Israele, Stati Uniti, Australia, Del Grande ha realizzato un piccolo miracolo, ha aiutato i migranti approdati a Lampedusa e di stanza a Milano a raggiungere la Svezia, arrivando finanche a creare un finto corteo nuziale. ‘Io sto con la sposa‘ sarà presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, fuori concorso, nella sezione Orizzonti;  è forse la prima volta che un prodotto finanziato col crowdfunding arriva ad una rassegna del calibro di Venezia. Nulla si sa ancora sulla distribuzione nelle sale cinematografiche.

Dal sito ufficiale del film:

Un film documentario ma anche un’azione politica, una storia reale ma anche fantastica. “Io sto con la sposa” è tutte queste cose insieme. E questo suo carattere ibrido ha dettato fin dall’inizio delle scelte precise. A partire dal trattamento del film. Non abbiamo scritto dialoghi né personaggi, ma abbiamo organizzato il viaggio ragionando per scene. Abbiamo cioè immaginato delle situazioni all’interno delle quali far muovere liberamente i nostri personaggi, ormai abituati alla presenza delle telecamere. Tuttavia le riprese hanno sempre dovuto mediare con le esigenze dell’azione politica. Perché in Svezia ci dovevamo arrivare per davvero, non tanto per fare un film. E dovevamo arrivarci nel più breve tempo possibile. Questo ovviamente ha comportato ritmi di lavoro durissimi: dodici ore di macchina al giorno, le scene da filmare, i file da scaricare e quando andava bene tre ore di sonno a notte. Se la troupe non ci ha piantato il primo giorno, è stato per il clima che si è creato. Condividere un grande rischio e un grande sogno, ci ha inevitabilmente unito. E quell’esperienza ha inevitabilmente cambiato il nostro sguardo sulla realtà, aiutandoci anche nella ricerca di una nuova estetica della frontiera. Di un linguaggio cioè che, senza cadere nel vittimismo, sia capace di trasformare i mostri delle nostre paure negli eroi dei nostri sogni, il brutto in bello, i numeri in nomi propri.

Il secondo film è realizzato per la televisione, si tratta de ‘Il sole negli occhi‘, di Pupi Avati. Girato in gran parte a Berlino, coprodotto da Rai Fiction e DueA Film, il film narra le disavventure di un bambino siriano (interpretato da Amor Faidi) in fuga con la madre (Laura Morante) per cercare asilo politico, che approda a Lampedusa e si vede costretto ad arrivare fino in Germania perché le leggi tedesche gli garantiranno maggiore tranquillità. Intervistato dall’Ansa, Pupi Avati ha dichiarato:

L’Europa non sta facendo assolutamente nulla per aiutare l’Italia nell’accoglienza dei richiedenti asilo. Solo parole”.

Secondo il regista, in Germania le leggi

“li proteggono e li garantiscono di piú sul piano sociale. Anche se l’Italia fa persino di piú per i profughi: il primo impatto lo sopportiamo tutto noi. (…) Rai Fiction sta facendo moltissimo per ridare alle tematiche sociali il peso che dovrebbero avere nel cinema. Cosa che il nostro cinema non ha piú l’ardire di fare, vittima del mercato (…) ci auguriamo di poter raccontare ancora altre storie sociali, tematiche che solo la televisione ti permette di fare. Soprattutto la Rai, che così svolge quel servizio pubblico cui è chiamata”.

(< – Ansa)

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