Il sessantunesimo orso

Il Festival del Cinema di Berlino ha per simbolo un simpatico plantigrado, di quelli che probabilmente  vivono ancora nella Foresta Nera o in Westfalia.
Il programma della sessantunesima edizione presenta alcune chicche di sicuro interesse. Si apre con “True Grit”, remake ad opera dei fratelli Coen del western “Il Grinta” di Henry Hathaway, con protagonista John Wayne.
È bello rivedere western, di tanto in tanto.
Per la par condicio, accanto al già celebrato “Il discorso del re” (proiezione speciale), verrà presentato da Madonna “W.E.”, film che racconta la storia vera di Edoardo VIII, fratello maggiore del futuro Giorgio VI, e la famigerata Wallis Simpson.
Il mitico “Taxi Driver” rivivrà in versione digitalizzata, come già successo a Frankenstein junior e ad altri film.
Il nostro Paese presenzia con “Qualunquemente” e “Gianni e le donne”, di Gianni De Gregorio, nella sezione Berlinale Special. In tale sezione è inoltre prevista la proiezione de “Il marchese del Grillo”, quale doveroso omaggio al nostro Mario Monicelli. La sezione “Culinary Cinema” ospita “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino ed è la non meno italiana Isabella Rossellini a fare la presidente di giuria.
A far parte della giuria dovrebbe esserci anche l’iraniano Jafar Panahi che, come sappiamo, è vittima di un’ingiusta condanna. La sua poltrona, pertanto, rimarrà vuota, a memento dell’assurda ingiustizia di cui è vittima.
Del regista di Teheran verranno comunque proiettati cinque film tra cui, in concorso, “Offside” del 2005.
Per quanto riguarda il cinema d’animazione, sarà presentato anche “Griff The Invisibile”, film australiano sui superproblemi dei supereroi di Michel Ocelot, che già conosciamo per la saga di Kiribou.

La bocca e l’anima

“La mia lingua è stilo di scriba veloce”

la Bibbia

Avere una buona dialettica è sempre stato importante.

La bocca e la lingua sono strumenti che consentono all’uomo di esprimere il Logos e allinearsi alla perfezione del Creato, creando mondi o difendendo la Verità.

L’oratore Demostene, quello delle orazioni contro Filippo II di Macedonia, metteva sassolini in bocca per nascondere la balbuzie e migliorare la fluidità del suo eloquio (una mia professoressa di Retorica avrebbe voluto esami della sua disciplina anche a Giurisprudenza, per educare alle arringhe i futuri principi del foro, epigoni di Cicerone).

Pare che il grandissimo Hegel non fosse brillante a scuola perché balbettava, in un’epoca in cui l’eloquenza era conditio sine qua non della bravura scolastica.

Silvio Muccino non è balbuziente di sicuro, però ha preso lezioni per perdere la lisca, chiamata sigmatismo dai logoterapisti.

Paolo Bonolis ha dichiarato d’essere stato balbuziente perché pensava in modo troppo veloce e i pensieri si “intasavano”. Da qui e dal desiderio di uscire dalla timidezza la scelta di fare teatro.

Il grande Giorgio VI aveva gravi problemi a parlare in pubblico.

Ed il grandissimo Colin Firth,  a degna chiusura di questo elenco, ha saputo fingere questo difetto con sensibilità straordinaria accendendo con la sua recitazione tutte le corde dell’anima.

Questo blog auspica vivamente l’Oscar come miglior attore protagonista alla star de Il discorso del re (cosa del resto probabile).

Sulle altre categorie si esprimerà nelle sedi opportune…

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