i dolori di un affittuario

Il post di oggi tratterà le peripezie e le vicissitudini della mia persona allorquando, ancora alle primissime armi, penavo alla ricerca di alloggi ove consentire alle mie ossa onesto ristoro.

In passato è già capitato di dover rassicurare i lettori di non soffrire della c.d. “sindrome del barone di Münchausen” e di non essere, comunque, a conoscenza di terapie concepite in tal senso sulla mia persona.

Mi è possibile, nondimeno, tranquillizzare anche sulla veridicità di quanto raccontato, fatti salvi i dovuti accorgimenti letterari.

All’università era mia zia ad ospitarmi, e questo mi risparmiava la gran parte delle difficoltà logistiche e organizzative che attanagliano gli studenti e nei casi più gravi fanno venir voglia di mollare gli studi già al secondo anno.

Tutto, dunque, cominciò nel 1999, con la prima esperienza a Milano.

Il primo trauma fu meramente logistico.

Da bravo terroncino 23enne, abituato a vivere in centri relativamente piccoli e collegati in modo stocastico, la metropolitana fu un piccolo trauma.

Guardi, facci così – ti diceva l’autoctono, con la gentilezza e i congiuntivi del tipico milanese col coeur in man – prendi la rossa in direzione Bisceglie, poi scende, la verde per due fermate, poi passi sulla gialla. Dopo prendi la fucsia, la nera, la beige, l’amaranto, la viola, la grigia a pois, torni in superficie, il trenino per andare fuori Milano, poi il bus per quattro fermate, – tac! – una ventina di minuti ed è arrivato!” (!!!)

È vero che perfino le Iene, nel loro piccolo, hanno messo in guardia il loro pubblico dai pericoli e dalle insidie celate dal capoluogo lombardo, ma nella vita non si ottiene mai niente senza correre qualche rischio.

Non sapevo nemmeno come cercar casa. Comperai il periodico locale che pubblica gli annunci e trovai una di quelle agenzie che ti fanno consultare la loro banca dati in cambio di un’iscrizione. Quanto ho maledetto quel momento! Davi dei soldi a dei farabutti che ti proponevano, detto senza mezzi termini, soluzioni abitative che non avrebbero mai avuto acquirenti diversi da studenti sfigati o stagisti alle prime armi, persone che, in ogni caso, conoscevano male Milano e non sapevano come muoversi.

Una signora, che viveva nelle vicinanze di piazzale Negrelli ti chiedeva quattrocentomila lire dell’epoca per stare in casa con altre sei persone, un unico bagno e una cucina così piccola che c’entrava una persona al massimo.

Un’altra, alla modifica cifra di quattrocentocinquantamila lire dell’epoca, ti offriva un posto letto nell’ingresso, davanti alla porta e nelle vicinanze della cucina. La quale cucina, peraltro, non aveva la cappa e non era separata dall’ambiente circostante. Se qualcuno friggeva, tutta la casa partecipava dei suoi mefitici effluvi.

Particolarmente tenero un vecchietto in zona Loreto, che affittava due posti letto (a castello) in una stamberga risalente al ventennio fascista. Nonostante le congiunture economiche non proprio felici, nel suo cuore risplendeva intatto l’orgoglio per passate fortune e sulla porta esterna c’era uno stemma nobiliare: Marchese ***, con tanto di aquila a due teste! Qualche birichino – ah, questi giovinastri!- prese un pennarello e vi aggiunse un sottotitolo: Miseria e nobiltà!

Una tizia in zona via dei Popoli riuniti affittava una dimora a ringhiera, analoga a quella del film Rocco e i suoi fratelli. Ad abitarla, però, non era Alain Delon, ma un giunonico donnone lucano con fare da maîtresse, il di lei marito, segaligno e sparuto omiciattolo alle sue dipendenze, e un vecchietto, con il quale si doveva condividere la stanza. L’anziano aveva un leggerissimo problema. Aveva una bombola d’ossigeno accanto e dei tubi collegati alla testa, per non so quale grave malattia. Ogni sera un’infermiera passava, gli sostituiva i tubi e, quando necessario, anche la bombola.

La prima soluzione umana la trovai a Porta Genova. Vecchietta arzilla, casa confortevole, bella stanza, doppia ma con coinquilino ancora da trovare. Peccato che la megera fosse solita raccontare tutte le disgrazie della sua vita ogni volta che ne aveva la possibilità. Tu le avevi soltanto chiesto che tempo faceva? Lei ti raccontava “Ah, quanto pioveva quando i tedeschi irruppero in casa…”, e il monologo poteva durare anche quaranta minuti d’orologio. Dopo una settimana di lei sapevo tutto, compreso un aneddoto a dire il vero molto triste, che vi racconterò in breve. La tapina era stata seguita all’uscita del supermercato, avvicinata in modo affabile da una signora impellicciata e informata nei minimi dettagli delle sue cose, nonché da quest’ultima ipnotizzata. Le due si erano recate in banca e la vecchietta, sotto ipnosi, aveva aperto la cassetta di sicurezza e ceduto tutto il contenuto, i risparmi di una vita e il lascito del marito, all’elegante signora, che si era poi dileguata in men che non si dica. Immaginabile lo sgomento della vecchia, sebbene abbia ancora oggi qualche sospetto sul fatto che potesse essere lei a soffrire della sindrome di Münchausen, non il sottoscritto (nella sua narrazione c’erano molte incongruenze). Trascorrevamo le serate in salotto, con lei che accarezzava la gatta o me la faceva accarezzare, e io che ascoltavo le sue storie. Situazione degna di un reality…

Abitai con la vecchietta per un mese. Quando ero ormai pronto per il manicomio, mi trasferii a Bande nere, in un pensionato per studenti e lavoratori non a cinque stelle, ma decoroso per soggiornarvi brevi periodi, in attesa di meglio.

I miei compagni di stanza erano certi siciliani, di Castellammare del Golfo (TP), che avevano abbandonato la solatia Trinacria per cercare al nord migliori fortune. Evidentemente le avevano trovate, giacché dicevano di essere alle dipendenze della Provincia di Milano. Non riuscii mai a capirli del tutto. Certe volte sembravano buoni, certe altre sembravano avere schizzi d’invidia e parlavano male in modo gratuito di chi aveva fatto l’università o saliva al nord per specializzarsi. Credo non dimenticherò mai una frase che uno di loro proferì commentando i rischi del cibo: “Mah, ‘ste carni sofisticate! Quand’ero in Sicilia avevo i pulcini miei e ho sempre saputo quello che mangiavo!”

Per Milano può bastare. 

Si tratterà, adesso, adesso di Roma.

Ah, la città eterna! La caput mundi, punto di partenza e d’arrivo di tutti i sogni, di tutte le strade esistenziali, di tutti i fili che il buon Dio tesse nell’arco delle nostre fragili vite.

Ah, gli agenti immobiliari! Stirpe di dannati, maledetti dal Signore, tali figuri si servono di capacità persuasorie assolutamente superiori al loro livello intellettuale, che ti portano a concepire l’appartamento in questione come il non plus ultra delle opportunità. “Vedrà, un’altra casa come questa a Roma non la trova!”

Proprio in virtù dell’attività professionale di uno di questi figuri, trovai la mia prima accommodation in Roma in zona Subaugusta, non lungi da Cinecittà, anzi a dire il vero a uno sputo. La casa era affittata dal proprietario di un bar, che scoprii troppo tardi essere anch’egli in affitto, e per di più moroso. Il compagno di stanza si chiamava Michail, Miša per gli amici, bravo ragazzo, nato in Russia ed emigrato in Israele con la famiglia non appena il regime locale aveva consentito la transumanza e perfino l’esodo di chi avesse certi aneliti.  Aveva fatto il militare in Israele, dove la naia dura tre anni, e i suoi ricordi più belli risalivano a tale esperienza. In particolare, ricordava con orgoglio una marcia di 40 chilometri sulla spiaggia, che lui aveva portato a termine da solo, meritandosi la stima (e il berretto) del capitano. Quando mi raccontava l’aneddoto, i suoi occhi splendevano d’orgoglio misto a commozione, in Israele dev’essere una figata essere gli unici a portare a termine una marcia e guadagnarsi il cappello del capitano. Durante la naia aveva anche imparato la nobile arte della krav magà, arte marziale di rara durezza, che viene insegnata ai futuri componenti dell’esercito israeliano per difesa personale. Fortuna che eravamo in buoni rapporti!  Era venuto in Italia, alla veneranda età di 27 anni, per studiare Medicina. Prima non poteva, era sotto le armi…

 Il proprietario, come accennavo, era barista, ma non doveva passarsela bene. Si atteggiava a signore, ma aveva difficoltà a fare la benché minima spesa non strettamente necessaria. Separato, portava spesso in casa donne di vario genere, e dimenticava talvolta in bagno giornali in cui si parlava della storia della prostituzione nel West o di taluni psicologi afflitti alla smania narcisistica di apparire in televisione. Una volta, dopo le vacanze di Natale, ci fece anche trovare la sorpresa di un rumeno ubriaco nel corridoio davanti all’ingresso. Scoprii che era moroso per caso, grazie ad una letterina azzurrognola sotto l’uscio. Gliela consegnai, gli chiesi per curiosità che cosa fosse e lui, serafico, mi rispose: “Ah, niente, una sentenza di sfratto…”

La fuga avvenne clandestinamente, con il favore delle tenebre. Dopo pochi mesi, ricominciò l’avventura dell’alloggio.

Per quanto concerne Mr. D e il periodo in cui ero suo ospite, ho già scritto su questo blog in passato. Potete andare alle Chiavi di lettura, e trovare quella che si chiama, appunto “Mr. D” Qui basterà ricordare che Mr. D è stato il primo di una lunga serie di persone che ho poi incontrato, disposti a indebitarsi con le banche, e vivere per vent’anni con degli estranei in affitto, pur di pagare le rate del mutuo.

Ma i ricordi del primo periodo romano sono innumerevoli. In particolare ci fu un anno in cui riuscivo a trovare inserzioni pubblicate soltanto da malati di mente.

Annuncio n°1: stanza doppia zona Trastevere, 250 €, libera subito. Andavi là, incontravi un tizio dall’aria di cocainomane, che ti faceva vedere una stanza con un letto matrimoniale e una branda e ti raccontava che in quella stanza dormiva una coppia di suoi compaesani, che tu potevi trovare onesto ristoro sulla branda, che di lì a poco sarebbe venuta una rumena al posto della coppia, che la sera dopo le nove non si poteva fare alcun rumore, nemmeno quello delle tue scarpe, che la cifra non era 250, come scritto sul giornale, ma 350.

Annuncio n°2: posto letto zona Anagnina. Incontravi uno stronzetto dall’aria sgamata e dagli occhi da bel tenebroso che ti faceva prendere l’autobus, ti faceva vedere la dependance/ monolocale di un attico e ti diceva “In pratica è libera subito, il rumeno sta per andarsene!”. Peccato che il rumeno era ben lungi dall’andar via, che la stanza faceva schifo, mancava della pur minima comodità, che la terza persona che vi abitava era un povero cerebroleso che si svegliava ogni mattina alle sette per vedere film pornografici in cui suore intrallazzavano in modo osceno con arcivescovi.

Annuncio n°3: Doppia in zona Battistini (zona Battistini = metro A fino a Battistini, da lì due autobus e tratto a piedi). Svalvolata signora sulla cinquantina affittava due posti letto in una stanza microscopica, in una casa in fase di ristrutturazione, con cemento a vista lungo i gradini, portone praticamente inesistente, in convivenza con la famiglia (marito burino e figlio schizzato). Dimenticavo, al costo dell’affitto andava aggiunta la modica cifra di 150€ per la cena, perché l’uso della cucina non era previsto.

Quando arrivai da M & F, non credevo ai miei occhi. Persone civili! Senza particolari patologie mentali! Senza richieste impossibili!

  1. Lei, studentessa di Medicina, un po’ rozzetta ma con una codifica dei valori molto definita;
  2. il fratello quasi sempre assente, ormai in ferma di leva prolungata;
  3. il fidanzato di lei, garbato giovanotto che lavorava nel settore dei Media;
  4. compagno di stanza squisitissimo che studiava in un vicino ateneo e ti consentiva di usare il suo computer quando a lui non serviva.

Fu solo allora, dopo molto penare, che mi fu possibile tirare un sospiro di sollievo!

2 Risposte a “i dolori di un affittuario”

  1. eehh i rischi di essere studenti fuoricasa… io fortunatamente posso permettermi di andare all’uni solo col bus o con l’auto ma conosco molti amici che vengono da altre regioni e si trovano con i tuoi stessi problemi…

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