il ritorno di Persefone

Persefone è tornata dalla madre, a quanto sembra. Ed è forse il caso di festeggiare l’arrivo della primavera ripassando il suo mito, cosí affascinante e pieno di suggestioni (una mia insegnante lo assimilava alla situazione dei figli di genitori separati ma è una decodifica non indispensabile).

Era, dunque, Persefone, la garbata e bellissima figlia che Demetra aveva avuto dal fratello Zeus, nell’ambito di uno di quegli innumerevoli amori che il re degli dèi si concedeva per riempire il mondo di uomini e divinità. Ed era Hades, anch’egli fratello di Zeus, signore degli abissi infernali e dell’oltretomba. Viveva nell’oscurità con la sola compagnia di qualche servitore, qualche mostro sotterraneo e le anime dei morti. Nessuno da portare a cena fuori, insomma.

Hades seppe della bellissima fanciulla e ne chiese la mano a Zeus, il quale gliela concesse. Cosí, mentre la poveretta passeggiava per i campi della Sicilia raccogliendo fiori insieme ad una ninfa sua amica, contemplando con particolare attenzione un fiore di narciso, s’udí un cupo boato. La terra tremò e si squarciò nel punto in cui, da un grande cratere, fuoriuscì un cocchio trainato da quattro cavalli neri come la pece. Alla guida del cocchio, come intuibile, era proprio Hades che, come rappresentato nella gran parte delle opere d’arte che ci sono pervenute, afferrò la fanciulla con un braccio e la portò via con sé, di fatto sequestrandola (pare che la ninfa si sia sciolta in lacrime dal dolore e si sia per questo mutata in fonte).

Demetra, non piú trovando la figlia, si mise a cercarla per tutto il mondo, armata di due torce, sotto le spoglie di una vecchia mendicante. Il lungo peregrinare della dea non fu certo scevro di avventure ed ebbe una singolare conseguenza: poiché la Signora delle messi, Colei che faceva fiorire e fruttificare, era disperata, la Natura tutta lo era con lei. Il grano non maturava, i frutti non crescevano, gli alberi diventavano spogli, i prati perdevano il verde dell’erba ed il giocoso arcobaleno dei fiori.

Ad un certo punto del viaggio, dopo aver trasformato in ramarro un fanciullo che l’aveva derisa per il suo modo di bere, Demetra arrivò ad Eleusi, nell’Attica. Colà venne ospitata da re Celeo, dalla regina Metanira e dalle sue figlie, che la accolsero come nutrice di un bimbo appena nato, Demofonte. Demetra accettò il compito di buon grado e finí con il profondere sul pargolo gran parte di quell’affetto materno che, in quel momento, era barbaramente mutilato. Si risolse, anzi, a fargli il regalo piú grande che un nume potesse fare a un essere umano, quello di renderlo immortale. Con un particolare rito, ogni sera aspettava che gli altri fossero andati a dormire ed esponeva il bimbo alle fiamme del focolare per distruggere con il fuoco quanto in lui c’era di mortale e corruttibile.

Una sera, però, la regina spiò la dea e, al vedere il bimbo che veniva messo sul fuoco, gettò un grido, spezzando la liturgia e impedendo a Demofonte il raggiungimento dell’immortalità. Demetra, infuriata, riprese le sue vere sembianze e minacciò tremenda vendetta, tanto che il re e la regina di Eleusi dovettero promettere la costruzione di una grande tempio con fonte annessa, dove in futuro si sarebbero celebrati riti solenni in suo onore. Nacquero così i misteri eleusini, che nell’antichità avevano grandissima importanza e che vennero conservati tanto bene da non lasciar trapelare il minimo dettaglio (nella mitologia egizia accadde qualcosa di simile a Iside, anche nel racconto di Plutarco).

In verità, la dea seppe da Helios, il Sole, l’Occhio del cielo che tutto vede, come fossero andate le cose e minacciò la fine di ogni forma di vita sulla terra se l’amata figlia non le fosse stata restituita quanto prima. Secondo altri fu avvertita da Ecate, dea della stregoneria. Hermes, fido messaggero d’Olimpo, scese pertanto agl’inferi a prendere Persefone ma, prima del definitivo ritorno della fanciulla, c’era da osservare una piccolo dettaglio. Chiunque, infatti, avesse mangiato qualcosa nei regni dell’oltretomba (Ade, Tartaro, Averno che dir si voglia) non avrebbe potuto comunque, in nessun caso, tornare definitivamente tra i vivi. Persefone negò d’aver assunto alcunché ma un servo di Hades, tale Ascalafo, rivelò pubblicamente che la fanciulla si era cibata di sei chicchi di melagrana. Demetra lo sputò in viso, trasformandolo in un orrido barbagianni, ma ciò non bastò certo a chiudere la situazione.

Il sommo Zeus decise infine che Persefone sarebbe rimasta alternativamente con la madre e con lo sposo per un numero di mesi corrispondente ai grani di melagrana mangiati nell’Ade. Da allora, durante i sei mesi che la dea trascorre con la madre Demetra, la natura fiorisce, germina e fruttifica, dando a uomini e animali di che sopravvivere. Quando, invece, Persefone deve tornare dal marito, la natura si rattrista e comincia a sfiorire, addormentandosi in attesa del primaverile risveglio.

È necessario che la Morte sottragga una porzione di vita alla Vita affinché la Vita possa continuare.

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