Le mafie nell’era digitale. Ed un cartone contro di loro.

I mezzi di comunicazione rivestono importanza non secondaria nella lotta alla criminalità organizzata.

  • A Torino, sedici quinte classi degli istituti Volta, Alfieri e Tommaseo hanno partecipato alla proiezione in anteprima nazionale di ‘Tufo’, lungometraggio d’animazione diretto da Victoria Musci, che racconta la storia di Ignazio Cutrò e della sua famiglia, minacciati dalla mafia e isolati per avere scelto di non chinare la testa alla prepotenza e al desiderio di sopraffazione. La proiezione è stata il coronamento di un progetto sulla mafia finanziato dai ministeri dell’Istruzione e della Cultura, per iniziativa della giovane società d’animazione Ibrido Studio; i ragazzi hanno seguito gli ultimi mesi della produzione, dall’analisi delle prime interviste con il testimone di giustizia e i suoi familiari alla revisione della sceneggiatura, fino alla pre-produzione e al doppiaggio.
  • A Roma, nella sala stampa della Camera dei Deputati, è stato invece presentato il rapporto “Le mafie nell’era digitale”, stilato dalla Fondazione Magna Grecia e presentato da Antonio Nicaso, docente di Storia della criminalità organizzata presso la Queen’s University in Canada, Marcello Ravveduto, professore di Public and digital history alle Università di Salerno e di Modena-Reggio Emilia e responsabile della ricerca, Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro.

Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia, presentando il rapporto alla Camera, ha spiegato:

Lo Studio si pone l’obiettivo di definire i contorni e i contenuti delle modalità con cui le mafie oggi vengono raccontate e comunicano nel mondo digitale. Chi si occupa di cultura nel Mezzogiorno d’Italia come noi, non può non guardare anche a questi fenomeni e ai suoi interpreti che oggi hanno strutturato un inedito modo di ‘muoversi’ e di autorappresentarsi, intrecciando reale e virtuale e creando una narrazione ‘attrattiva’ fatta di nuovi contenuti e nuovi simboli”.
Nicola Gratteri, intervistato dall’agenzia Ansa a margine della presentazione, ha dichiarato:

“Mentre la politica discute dell’utilità o meno delle intercettazioni, e dei loro costi, le mafie sono in grado di pagare hacker e costruirsi nuovi sistemi di comunicazione sopra le nostre teste, che noi non riusciamo ad ascoltare! Utilizzano telefoni che pagano mediamente 3.500 euro e che durano 6 mesi e parlano in chiaro, funzionano come una serie di citofoni tra di loro, con i quali comunicano anche da una parte all’altra dell’oceano, e noi non riusciamo a bucare nessuno di questi sistemi”. L’Italia fino a sei sette anni fa aveva i migliori investigatori del mondo: l’élite della polizia giudiziaria italiana non era seconda a nessuno. Ai tavoli con polizia e magistrati di molti paesi del mondo l’Italia dava le carte, la polizia giudiziaria italiana era dominante. Negli ultimi anni stiamo perdendo il know-how che avevamo e, soprattutto, chi ha governato non ha investito in tecnologia, non ha fatto ricerca, ritenendo che non fosse importante sul piano dell’investigazione”. “Dobbiamo coprire velocemente questo gap dobbiamo finirla di arruolare nei servizi segreti solo poliziotti e carabinieri, bisogna assumere ingegneri informatici o hacker, o non riusciremo a essere competitivi con le altre migliori polizie del mondo“. “Il lavoro presentato oggi rappresenta l’attualità. Le mafie mutano col mutare sociale, vivono fra di noi e ci somigliano, per esistere hanno bisogno di pubblicità. Anni fa si facevano vedere in processione o sponsorizzavano squadre di calcio, oggi le nuove generazioni mafiose si fanno vedere vestite in modo sfarzoso sui social per dimostrare che quello è il potere”. 

Oltre 90 Gb di video TikTok, due milioni e mezzo di tweet, ventimila commenti a video YouTube e centinaia tra profili e pagine Facebook e Instagram; dalla musica trap al neomelodico, dalle macchine extra-lusso ai gioielli kitch, dalla mitizzazione dei grandi boss del passato agli emoticon a forma di cuore o di leone e agli hashtag per inserirsi nella scia dei contenuti virali, i risultati del Rapporto raccontano i nuovi linguaggi della criminalità organizzata sui social e confermano la capacità delle mafie di reinventarsi continuamente in base alle esigenze del presente.
Si fanno vedere le case, le famiglie, i soldi guadagnati con lo spaccio, le minacce dirette ai nemici, la vita agli arresti domiciliari, i colloqui in carcere, si mette in mostra e si ostenta il potere; i figli dei boss mostrano la ricchezza, postano foto di auto, moto e barche, abiti di alta moda, accessori preziosi, luoghi di vacanza di lusso e raccontano il successo dell’impresa di famiglia.
Il cybercrime è la nuova frontiera delle mafie”, spiega Antonio Nicaso; “Mi auguro che si punti sempre di piú alla formazione della polizia giudiziaria, affinché stia dietro alla velocità con cui il mondo della criminalità organizzata si reinventa. Mi fido poco della fonte confidenziale. Credo in prove certe basate su intercettazioni telefoniche, digitali, metodologie di tracciamento. Non possiamo permetterci di perdere posizioni nella lotta alla mafia rispetto ad altri Paesi che hanno investito in tecnologia”, conclude Gratteri. Non a caso il prossimo Rapporto di cui si fa carico la Fondazione Magna Grecia avrà al centro proprio il cyber crime.

A questo link è possibile leggere un estratto del Rapporto.

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