brevi dai media (74)

  • Il governo non ha esercitato i poteri di “golden power” su Ei Towers, dunque il percorso dell’Offerta pubblica d’acquisto (Opa) lanciata da F2i e Mediaset prosegue normalmente. Il comunicato diffuso il 9 agosto recita: “La presidenza del Consiglio dei ministri ha trasmesso a F2i copia della delibera del Consiglio dei ministri di data 8 agosto 2018, con la quale è stata accolta la proposta del ministero dell’Economia e delle Finanze di non esercizio dei poteri speciali e di consenso al decorso dei termini previsti” dall’articolo dell’Opa sulla cosiddetta ‘condizione Golden Power’”.
  • A partire dal 2019, oltre all’Oscar per il Miglior film, sarà assegnato quello per la pellicola piú popolare:
    Il cambiamento sta arrivando agli Oscar. Ecco cosa dovete sapere:
    Stiamo ideando una nuova categoria per il successo nei film popolari.
    Abbiamo deciso di andare in onda in anticipo per il 2020: segnatevi il 9 febbraio nel calendario.
    Stiamo pianificando una messa in onda di tre ore più accessibile da tutto il globo
    .”

    Questo il messaggio pubblicato su Twitter dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Immancabili le polemiche. È il semplice e puro desiderio di rimanere attaccati al gusto del pubblico, di rendergli massima giustizia? È per dare il tradizionale “colpo” sia al cerchio, sia alla botte”? È un espediente marketing oriented per sollevare gli ascolti della cerimonia, il suo indice di gradimento? È un modo per valorizzare i blockbuster? C’è davvero una frattura tra cinefili e pubblico? Se sì, quanto profonda?
    I pareri sono discordi. Qualcuno ci rammenta che, nel 1929, in occasione della prima cerimonia, le categorie per il film migliore erano due: “Outstanding picture” e “Unique and Artistic Picture” (e vinsero, rispettivamente, ‘Ali’ (‘Wings’), di William A. Wellman, e ‘Aurora’, di Friedrich Wilhelm Murnau). Ai post(eri) l’ardua sentenza. Se lo faranno davvero, comunque, che lo facciano anche per il cinema d’animazione!
  • Luigi di Maio ha confermato che il progetto di un rete unica Tim-Open Fiber è allo studio del Governo: “Per quanto mi riguarda, credo che dovremmo fare una valutazione legata a un solo principio: se quell’infrastruttura per l’Italia è strategica, allora noi la vogliamo considerare tale e la vogliamo prendere anche in esame, nel caso di accorpamento e quindi di inserimento, ad esempio, in Open Fiber della rete Telecom. Se invece quell’infrastruttura non basta, in quanto non è più strategica, anche questo lo dobbiamo valutare”. “Non dobbiamo fare un ragionamento di favorire o meno un’azienda, o un ragionamento di tipo industriale, ma di sovranità dello Stato che si vuole appropriare di un’infrastruttura strategica”. “Stamattina abbiamo messo in piedi una task force per permettere di spendere i fondi europei sulla banda ultra larga che si stanno per perdere. Ci sono 205 milioni di euro che ci servono per creare la banda ultra larga per le imprese, per creare l’infrastruttura digitale e l’autostrada digitale per il futuro dell’Italia, che si rischia di perdere perché abbiamo un grande problema di risorse nelle regioni per rendicontare i fondi europei”.“La banda ultra larga è un’infrastruttura strategica per il Paese, per i nostri cittadini e per le imprese. Le prime priorità di questo comitato sono state quelle volte alla salvaguardia degli investimenti per le aree bianche dove attualmente non c’è alcuna infrastruttura”. “Stiamo mettendo in campo tutte le risorse umane e finanziarie disponibili per accelerare la realizzazione delle opere e pensiamo che il dialogo con tutti i soggetti coinvolti sia fondamentale per portare a termine il progetto”. “L’adozione della tecnologia 5G è un’occasione fondamentale per la crescita del Paese. Abbiamo il dovere di creare le condizioni affinché il passaggio sia ordinato e avvenga nel rispetto dei diritti di tutti gli attori interessati, avendo come obiettivo prioritario la creazione di una Smart Nation. Da oggi riparte l’Italia Digitale”.
  • In questi giorni il Vice Premier, Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ha emanato due decreti:
    • il primo definisce la roadmap per la liberazione della banda 700 Mhz fissando, come richiesto dalla decisione UE 2017/899, le scadenze intermedie e finali del processo che porterà all’adozione del 5G, tecnologia abilitante la quarta rivoluzione industriale. Nello stesso decreto è stato previsto che il formato MPEG4 sarà lo standard da utilizzare per il segnale televisivo. Questa scelta, rivolta verso il formato tecnologicamente più avanzato, è il primo passo verso la trasformazione digitale del settore televisivo che il Governo intende favorire.
    • con il secondo è stato istituito il tavolo “TV 4.0” tra Mise, Agcom e i principali operatori del settore televisivo che intende consentire un’attuazione ordinata della liberazione della banda 700 Mhz, con il massimo coinvolgimento dell’autorità indipendente di settore e degli operatori coinvolti, e favorire la trasformazione digitale del settore televisivo attraverso il dialogo costante con gli operatori.
    • La riunione del Comitato interministeriale per la Banda Ultra Larga (COBUL), nell’ambito della quale si è provveduto a modificare le “Linee guida per il Piano di comunicazione – Strategia banda ultralarga 2016-2020”,  è stata anche l’occasione per fare il punto sul progetto aree grigie e la predisposizione di linee guida per semplificare i processi di infrastrutturazione del Paese.
  • Il sottosegretario con delega all’Editoria, Vito Crimi, invece, si è lasciato scappare che “il Movimento 5 Stelle vuole abolire l’ordine dei Giornalisti”. Lo ha scritto su Facebook ma lo si sapeva e lo si era sentito anche in Commissione Cultura. Ecco una sintesi delle sue recenti dichiarazioni in materia: “Ero certo che le 300.000 persone scese in piazza nel 2008 per invocare l’abolizione dell’Ordine fossero passate inosservate e pensavo che nessuno si fosse accorto, l’anno seguente, della nascita di un Movimento sancita proprio su questo tema così complesso e delicato… speravo poi che nessuno ricordasse i miei primi disegni di legge presentati nel 2013, che prevedevano proprio l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti, e che il dibattito in Aula nel 2014 durante la legge di riforma delle modalità di sostegno all’editoria fosse caduto nel dimenticatoio. Ma ieri, finalmente, il mistero è stato svelato. E dopo 10 anni alcuni “giornalisti” (le virgolette non sono casuali) hanno scoperto che sì forse potrei avere quest’idea in testa. Al di là dell’ironia, sono vent’anni che si dibatte della reale utilità dell’Ordine e non si riesce a trovare unanime consenso neanche tra chi ne sostiene il ruolo. Come ho tenuto a precisare nell’audizione di ieri nella commissione Cultura della Camera dei Deputati, avrei potuto fare come nel 2013: presentare subito, senza pensarci due volte, una proposta di abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Invece, pensate un po’, ho preferito incontrare prima i nuovi vertici dell’Ordine, ascoltarli e accogliere con favore il loro percorso di autoriforma, in attesa di valutarne la proposta. Ho comunicato direttamente al presidente dell’Ordine la mia disponibilità ad aspettare la loro proposta di autoriforma, per comprendere se sarà in grado di rispondere alle tante criticità sollevate sulla necessità che esista un albo dei giornalisti, un organo che possa decidere chi può scrivere notizie e chi no. Addirittura, si parla di ‘minacce’ da parte mia. Ora manca solo che qualcuno scomodi Putin o qualche troll russo su Twitter, e allora il segretissimo piano di abolizione dell’Ordine dei Giornalisti sarà definitivamente svelato. Vi svelo un altro segreto: dal primo giorno in cui ho ricevuto le deleghe all’Informazione e all’Editoria, il mio ufficio ha visto una raffica di appuntamenti e incontri con i giornalisti, piuttosto che con gli editori. (…) Come affermava ieri in Aula il collega Alberto Bagnai, il pluralismo dell’informazione si realizza quando chi fa informazione garantisce la pluralità delle opinioni, e non è sufficiente che ci sia una pluralità di soggetti se questi poi danno voce ad un pensiero unico perché si possa definire pluralismo. A chi ancora difende l’attuale Ordine dei Giornalisti, definendolo l’unico presidio a tutela della loro libertà, ricordo solo che l’Ordine esiste dal 1925 e che con l’Ordine vigente ci ritroviamo oppressi dal precariato nel giornalismo e senza alcuna tutela per chi svolge il lavoro di giornalista. Non servono proclami: difenderò sempre i giornalisti, la libertà di raccontare le notizie e la verità, il diritto ad avere un lavoro dignitosamente retribuito, il riconoscimento delle dovute tutele. Difenderò tutto questo con atti legislativi e provvedimenti concreti. Ma, per favore, non chiedetemi di difendere l’Ordine dei Giornalisti. Ai primi di settembre ho intenzione di aprire dei tavoli di confronto con tutti i soggetti interessati su tre temi: uno sul giornalismo, uno sulla Siae e sul diritto d’autore, che non è una cosa di competenza esclusiva del Mibact, e uno sulla filiera dell’editoria nel suo complesso, che è un settore che va rivisto. Spero che sia possibile farli nella maniera più trasparente e pubblica possibile nel senso che sia consentita la partecipazione anche di rappresentanti di gruppi politici. Cercherò di capire le modalità per consentire anche la vostra partecipazione – ha detto riferendosi ai parlamentari della commissione – a quei tavoli di confronto, così da avere la massima garanzia che le decisioni non saranno unilaterali ma avranno il coinvolgimento di tutte le forze politiche, a maggior ragione di quelle di opposizione. Anziché fare subito un decreto di abolizione dell’Odg ho avuto l’accortezza di incontrare i nuovi vertici dell’Ordine. La mia prima preoccupazione è stata attendere il processo di autoriforma generale che i giornalisti stanno cercando di mettere in atto, che riguarda vari aspetti, tra cui l’accesso a professione e altri interventi che per la verità ancora non ho visto. Mi dicono che a ottobre questi interventi dovrebbero essere proposti, a seguito di questo faremo le nostre valutazioni. Se ancora ci sono i presupposti per abolire l’Ordine del giornalisti sarò qui a proporvelo. Ma quando si decide di fare una scelta, poi la si governa. Se si deciderà di abolire l’Odg, andrà  rivisto tutto il sistema degli automatismi che oggi sono legati all’iscrizione all’Ordine. Vanno riviste anche le nuove professioni e si deve parlare del nuovo modo di fare giornalismo. Non faremo tagli o riforme che vengono dall’oggi al domani, non vorrei seguire l’esempio del governo precedente sulle agenzie di stampa, che ha creato il caos che oggi c’è. Non vorremmo affrontare il tutto in maniera improvvisa, ma cercare di dare certezza nel tempo, dobbiamo intervenire nei vari settori dando certezza di quando ciò avverrà e con una certa gradualità”. (…) Se l’editore fa utili e prende soldi pubblici c’è qualcosa che stride. Questa cosa non ha funzionato e non può continuare a funzionare. Oggi c’è una crisi dell’informazione di qualità. Non c’è nessun tipo di taglio al fondo per il pluralismo, (…) cinque giornali nazionali drenano il 30% delle risorse e spesso sono cooperative che celano artifici e fanno concorrenza sleale rispetto a altri soggetti che non usufruiscono dei contributi. Drenano risorse che potrebbero essere destinate alla comunità locale. È un dibattito che dobbiamo affrontare insieme nell’ottica di una certezza nel tempo per consentire al settore industriale di adeguarsi”.

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