repetita iuvant (3)

“Vedete, bambini? La ‘a’ dell’articolo ha incontrato la ‘a’ della parola amica ed è caduta!
La lettera ‘elle’ ha pianto e la lacrimuccia è diventata un apostrofo!”

La maestra, in prima elementare

Qualcuno ha definito il bacio come “un apostrofo rosa tra le parole ‘io t’amo!’”. È abbastanza, dal punto di vista letterario. Dal punto di vista grammaticale, invece, sarebbe sufficiente ricordarsene. Al contrario, (altro…)

in soccorso del Pronto Soccorso

Il professor dottor lup. mann. Francesco Sabatini, nell’ambito della trasmissione ‘Uno mattina in famiglia ’(Rai 1), tiene la rubrica ‘Pronto soccorso linguistico ’: in ogni puntata spiega l’origine di un modo di dire e risolve i problemi grammaticali dei telespettatori.

La difesa della lingua dovrebbe essere sentita come un dovere istituzionale da parte della concessionaria di Stato e una rubrica come quella di Sabatini dovrebbe essere trasmessa ogni giorno e durare anche di piú. 

Si vuole esprimere qualche consiglio, inoltre, anche sulla struttura di questo appuntamento:

  1. come già detto, aumentarne la durata e la frequenza, anche in trasmissioni diverse;

  2. non ospitare in diretta telefonate di persone che impiegano sei minuti per formulare una domanda che, altrimenti, richiederebbe pochi secondi;

  3. raccogliere le richieste relative alla correttezza di singole forme in un’unica batteria di domande, da rivolgere al professore in soluzione unica (in sintesi, non perdere tempo in quisquilie);

  4. quando c’è perplessità su due forme, non limitarsi a mettere quella sbagliata in campo rosso e quella giusta in verde, ma segnare l’errore in modo evidente con una X o con un taglio trasversale (/);

  5. rendere piú televisivi gli interventi del prof, magari concordandoli con gli autori.

 Il tutto nella speranza che le rubriche pedagogiche nella televisione di Stato possano proliferare sempre di piú.

piuttosto che niente…

Questo post è animato dall’ambizione di prender parte alla nobile crociata che difende il vero uso di piuttosto da quello, erroneo, purtroppo attestato nell’uso quotidiano.
Si afferma pertanto che
  •     è meglio godere di buona salute piuttosto che essere malati;
  •    è meglio avere uno stipendio buono piuttosto che vivere nelle difficoltà;
  •     è meglio avere molti amici piuttosto che essere soli al mondo;
  •    è meglio avere un aspetto simpatico piuttosto che arcigno;
  •      è meglio parlare e scrivere bene piuttosto che male.
Si ritiene  tutto questo piuttosto interessante…

repetita iuvant

L’amore per la Patria passa anche attraverso la difesa della lingua.

Capita non di rado di leggere, vedere o ascoltare gravi imprecisioni, errori e imperdonabili solecismi commessi da imberbi ragazzetti ma anche da persone che dovrebbero avere buona cultura (dell’ignoranza in altre discipline, ad esempio la storia, si tratterà forse in altra sede).

La professoressa Paola Mastrocola (autrice di Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda) denuncia che oggi esistono laureati che non sanno scrivere ”non ce n’è” ed è capitato anche a me di vedere un “ce l’ho fatta” scritto in modo sbagliato (che vi risparmio).

Per non parlare, poi, di accenti e apostrofi! Una volta, alle elementari si studiavano perfino delle filastrocche per ricordare quando l’accento va o non va messo (fu, tre, re, me, no, so, va, sta, fa, vo, sto, fo* mai e poi mai accenterò!, per citarne una). Si scrive “come va?”, “come sta?”, non altrimenti!

La regola aurea è che l’accento va evitato su tutti i monosillabi, a meno che non si generino rischi di fraintendimento (l’accento sulla è si mette per distinguere la terza persona del verbo essere dalla congiunzione, su per distinguere l’avverbio di luogo dall’articolo, su per distinguere l’avverbio con cui rispondiamo positivamente ad una domanda dalla particella pronominale, su quando è pronome e non congiunzione, su per distinguere il verbo dalla preposizione, ma non è necessario in moltissimi altri casi, come su qui e qua, per esempio!).

Per ricordare quando mettere l’accento grave sarà sufficiente ricordare la è (al maiuscolo È) del verbo essere, la congiunzione cioè, le bevande e caffè, le parole bebè, lacchè, piè, bignè, i nomi propri Mosè, Noè, Salomè, Giosuè. Anche l’esclamazione ahimè si scrive con l’accento grave e ha l’e finale aperta; il Dizionario d’ortografia e pronunzia della Rai però precisa: “in origine con pronunzia senz’altro chiusa, quando l’etimo (ahi + me) era fatto più evidente da un costante riferirsi alla 1a pers. sing. e, per altro verso, dalla possibilità di frapporre aggettivi tra i due componenti (…). Cessate queste condizioni e scomparsa oggi in quasi tutta la Toscana la pn. chiusa; ma rimasta in parte dell’Italia centrale, soprattutto a Roma (…)”.

Si scrivono con l’accento acuto perché, poiché, benché e tutte le altre parole che finiscono con la e tonica.

* fo è la forma arcaica, toscaneggiante, per faccio,

vo per vado

(rileggi Il parlare onesto)

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