il futuro di Cinecittà

Qualcuno ha paragonato la riforma di Cinecittà accolta dal ministro dei Beni culturali ad un’innovazione in grado di far risorgere la Hollywood sul Tevere come araba fenice.
In realtà non sembra così sicuro che la nascente società a responsabilità limitata, indicata come «più snella, vigilata dal Mibac» possa raccogliere tutta la ricchezza del know how di via Tuscolana.
Gli asset riguarderanno esclusivamente la la promozione, la distribuzione e la conservazione del patrimonio cinematografico.  
Ci sarà una restrizione del personale. I non indispensabili verranno deportati al Ministero, forse con camionette organizzate. Coloro che rimarranno nella nuova società saranno scelti in base «a criteri di compatibilità, di qualifica e quindi di funzioni».
Tra l’altro, c’è preoccupazione per un possibile ridimensionamento delle attività dell’ICE (Istituto Commercio con l’Estero), che fornisce supporto anche all’industria cinematografica ma apporta anche idee e risorse nel trovare nuove strade di promozione.
Il Fus (Fondo unico per lo spettacolo) dovrebbe però beneficiare dei ridotti costi di gestione della vecchia società.
Il ministero ha giustificato il tutto affermando che 
«La società non aveva più quel ruolo fondamentale nella promozione e distribuzione delle opere italiane nonché nella gestione dell’archivio storico dell’Istituto Luce: un numero di dipendenti troppo elevato con costi di gestione elevatissimi e il fardello dei debiti passati non permetteva più di conseguire al meglio i programmi previsti nonostante gli sforzi comunque positivi del vertice attualmente in carica»
e, con riguardo al trasferimento nel gruppo Fintecna, lo si è fatto perché così 
«la storica Cinecittà e lo storico Istituto Luce non correranno alcun rischio».

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