qualunquemente Lear…

King Lear, protagonista dell’omonima tragedia di Shakespeare, aveva deciso di dividere il suo regno in tre parti e di assegnarle alle tre figlie in ragione dell’amore che loro avrebbero dichiarato; le prime due si lanciarono in promesse spropositate e magniloquenti attestazioni mentre la terza, Cordelia, disse di amarlo “per quanto era in suo dovere”. Due sostanziose parti di regno andarono alle prime due mentre la terza sarebbe rimasta senza dote.

È considerata la tragedia dell’ingratitudine perché le figlie maggiori, Goneril e Reagan, a dispetto delle dichiarazioni di folle amore, avrebbero ricambiato la generosità del padre in modo tutt’altro che leale e l’unica a comportarsi in maniera corretta fino alla fine sarebbe stata proprio Cordelia, quella che meno si era sbilanciata; la mia personale perplessità è sul livello di conoscenza e comunicazione tra padre e figlie, se davvero si possa misurare l’amore  filiale e assegnare un’eredità solo in base al linguaggio.
Il grande insegnamento di questa tragedia è che si comincia a vedere chiaramente quando si va al di là dell’approccio sensoriale e si cerca la Verità profonda delle cose; succede a Lear, quando si accorge del vero amore di Cordelia, e al conte Gloucester, quando, ormai cieco, realizza cosa è davvero successo tra i suoi due figli. “Solo i ciechi vedono bene“, scriveva Victor Hugo.

L’altra sera, volendo muovere verso piú faceta prospettiva, mi è venuto in mente cosa avrebbe detto Lear a Cordelia se, piuttosto che essere re di Britannia, fosse stato Cetto La Qualunque:

“Ah, caina! Ah, bastasa!

Non ti sputo per non lavarti, non (CENSURA)!

Gonerilla i Regan sunnu ddu bravi figghioli, parraru ‘ngarbati

i a iddi ‘nciu lassu u regnu!

A ‘ttia sai chi ti rugnu, bastasa?

‘Na beata (CENSURA)!

Vatindi in Francia,

cu’ ‘ddu stortu chi ti difindiu, non mi ti viru cchiú innanzi all’occhi!”

La traduzione è probabilmente intuibile… Chi volesse, invece, una trattazione piú ortodossa, può leggere una vecchia tesina:

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