Il cinema veste placement. Una volta anche di piú.

Il product placement, cioè l’inserimento di riferimenti commerciali, fisici, verbali o visivi in produzioni cinematografiche e televisive, pur presente in gran parte della nostra storia audiovisiva, ha ottenuto una ratifica formale nel Decreto Ministeriale del 30 luglio 2004, noto come Decreto Urbani e sottotitolato come: “Modalità tecniche di attuazione del collocamento pianificato di marchi e prodotti nelle scene di un’opera cinematografica product placement”. Il Decreto firmato nel 2004 da Giuliano Urbani ammette la presenza di marchi e prodotti all’interno di film, a patto che sia “palese, veritiera e corretta” nonché “coerente con il contesto narrativo“. C’è stata poi una direttiva comunitaria, la 2007/65/CE, recepita in Italia nel 2008, che, modificando la precedente 89/552/CE, ha consentito agli Stati membri dell’Unione di ammettere il product placement a determinate condizioni. Quanto alla televisione, il decreto legislativo 44/2010 vuole che all’inizio di un programma e ad ogni ripresa dopo gli spazi pubblicitari sia specificata la presenza di spazi promozionali e che, a fine programma, siano indicati tutti i brand e i prodotti presenti.

È uscito nelle scorse settimane lo studio ‘Dieci anni di product placement cinematografico Made in Italy’, che il Branded Content Lab dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nella persona di Roberto Nelli, ha dedicato all’argomento, prendendo in esame l’evoluzione del fenomeno nel decennio intercorso tra il 2004 e il 2013; la testata Prima on line consente il download completo dello studio e, introducendolo, commenta: (altro…)

DarkLight