una serata con Uto & Giorgio

Scrivo questo post al rientro da una serata particolarmente interessante, passata al Teatro dell’Opera di Roma, a celebrare Giorgio Albertazzi nel contesto della rassegna Uto Ughi per Roma.
La serata, organizzata per me dalla sempre dinamica Agnese – che ringrazio pubblicamente – , è stata un gradevolissimo florilegio di testimonianze musicali, letterarie, teatrali, di varia umanità.
Si è ascoltata dell’ottima musica (Uto Ughi e i suoi ragazzi che interpretavano la Danza ungherese di Brahms, una Romanza scritta da Beethoven subito dopo la sordità, un’antologia di brani del Settecento italiano piuttosto che la Campanella di Paganini, per intenderci…), si sono rivisitate interessanti pagine della nostra storia teatrale e televisiva (negli anni ’50 mandavano in onda un giovanissimo Albertazzi nei panni dell’Idiota di Dostoeevskj, e fu Albertazzi stesso a tenere a battesimo l’attività teatrale della neonata Emittente di Stato, con un indimenticabile Romeo e Giulietta), si è chiacchierato amabilmente tra Albertazzi, Ughi e Proclemer, tre vecchi amici che si ritrovano a commentare i propri vissuti artistici, con tanta ironia e forse anche qualche punta di sarcasmo.
Momento più alto della serata il monologo finale de Le memorie di Adriano della Yourcenar, recitato da Albertazzi con la padronanza scenica e l’intensità interpretativa che lo contraddistinguono da sempre.

mister D e… l'ingegnoso elettrodomestico

La terza emozionante puntata di Mr. D vede il nostro eroe alle prese con un’interessante innovazione tecnologica.

Ma è d’uopo una premessa.

La pulizia, nell’originalissima assiologia del personaggio, veniva al primo posto in assoluto, ex aequo con la musica. Ancor prima dei propri cari, della propria vita, di se stesso, la priorità assoluta era la cura della casa. Si badi bene, non il semplice lavaggio dei pavimenti, la semplice pulizia delle finestre, la battitura dei tappeti, che so io. Egli intendeva per pulizia assoluta della casa la lucidatura completa di ogni angolo dell’immobile, la pulitura del pavimento anche più volte nel corso della giornata e, udite e tremate, il passaggio dell’aspirapolvere ogni santa volta che si era fatta la benché minima consumazione.

Iniziava presto, finiva presto e di solito non puliva il water.

La sua fobia principale erano le formiche. Tali imenotteri, a dire il vero abbastanza innocui e forse perfino simpatici, suscitavano in lui la più completa angoscia e gli procuravano incubi a occhi aperti. Non c’era volta in cui si era usata la cucina, preparata anche la più banale delle pietanze, ch’egli non bofonchiasse tremolando “le formiche… presto, presto, arrivano le formiche…”. Aveva addirittura proibito la realizzazione e il consumo della pizza, ritenendo queste due attività troppo perniciose a tal riguardo.

Nessuno psichiatra riuscì mai a capire in quale trauma infantile, analogo a quello della coscia tagliata, fosse riconducibile tale patologia. In un momento di perfidia ebbi mente di regalargli il film A Bug’s Life, ma la mia proverbiale bontà mi impedì di mettere in pratica tale birichino proposito.

 Un giorno bussò alla porta un pittoresco figuro. Appartenente a quella schiatta di esseri umani che sanno quello che vogliono ma non sanno come ottenerlo, e le provano tutte pur di riuscirci, si presentò, il figuro, con un completino firmato e una grossa scatola.

Esordì piagnucolando che se non gli avessimo dato almeno trenta nominativi di nostre conoscenze, egli la settimana successiva sarebbe rimasto senza lavoro, con moglie, suoceri, mamma, papà, figli, nipoti, parentame vario, quattro gatti, sei mastini napoletani e tredici salamandre da sfamare. Ci assicurò che i contatti sarebbero stati gestiti nella massima riservatezza, senza dire quale era stata la fonte.

Ovviamente avvenne all’esatto contrario, gli addetti del telemarketing chiamarono i nostri amici e colleghi dicendo “Buongiorno signora, sono un amico del dottor Curatola, è lui che mi ha dato il suo numero! Volevo proporle…” Non vi dico gli insulti che ci beccammo al ritorno in ufficio.

La scatola conteneva un aggeggio futuribile e futuristico, dotato di varie componenti, che veniva presentato come la panacea assoluta nell’igiene domestica. Nella pittoresca rappresentazione del magniloquente venditore, tale opera era prossima ad essere l’ottava meraviglia del mondo, era in grado di pulire, spazzare, lucidare, battere i tappeti scuotendone le trame, lavare i vetri, sgorgare i lavandini, lavare i maglioni, verniciare, pulire i materassi in profondità e forse perfino resuscitare i morti. Costava soltanto 3500 euro.

La dimostrazione fu spettacolare. Per dimostrare quanto quell’apparecchio fosse in grado di pulire, produsse tanto di quello sporco che Mr. D avrebbe potuto tranquillamente tirar le cuoia per un attacco di panico (fu sul punto di farlo, ma si limitò a guardare tutto con occhi sbarrati e volto pallido).

“Ecco i vostri materassi, signori! – tuonava il venditore – vi siete mai chiesti per quale motivo talvolta vi sentite strani, giù di tono, affaticati? Ebbene, questo dipende da taluni minuscoli acari che vivono sui nostri materassi!”

La fantasia di quell’uomo era immensa. Ci descriveva la vita di quegli esserini con la stessa accuratezza con cui nei cartoni animati venivano descritte le attività di Pufflandia. E sì che me ne intendo io, di Pufflandia! Arrivammo a immaginare la vita di ogni singolo acaro, come si svegliava al mattino, come faceva colazione, come portava a scuola i bambini.

“Gli acari nei nostri materassi possono essere vivi o morti!”

“Ci saranno anche quelli mezzi vivi e mezzi morti, che stanno così così”, azzardai io, ironicamente.

Lo misi nell’imbarazzo più totale. Il lavaggio del cervello a cui era stato sottoposto non era stato sufficientemente approfondito per metterlo in grado di rispondere a tale domanda.

“Ci sono solo quelli vivi e quelli morti – rispose infine – quelli che stanno così così possiamo non considerarli!”

Che genio!

riEccomi

Chiedo scusa a tutti i Pasqual Blog friends per la prolungata assenza, ma anche i Pasquali nel loro piccolo si riposano.

Ho trascorso un agosto interessante, ho rivisto qualche vecchio e caro amico e ho tentato di ristorare l’anima profittando delle iniziative che la mia città natale propone in estate.

Ci sono riuscito.

Il pensiero di dover lasciare Reggio nuovamente con la ripresa degli impegni autunnali non è affatto sgradevole. C’è un tempo per tutte le cose, dice il Qohelet.

Quest’estate, tra gli altri, ho visto l’anteprima nazionale di Superman returns e, in prima visione, Volver, di Almodóvar (mi ha ricordato un po’ gli schemi del teatro greco).

Il film più bello che ho visto nel 2006 rimane cmq Anche libero va bene, di K. Rossi Stuart, con K. Rossi Stuart e Barbara Bobulova. A me ha letteralmente perforato l’anima.

In particolare, oltre alla già nota bravura di Kim, mi ha colpito la recitazione dei due bambini, specie il più piccolo, impegnato nel ruolo non facilissimo di un bimbo costretto a vivere la propria infanzia in una situazione pesantissima, che lo costringe a maturare prima del tempo e a rinunciare a gran parte della serenità che durante l’infanzia dovrebbe esser garantita a chiunque.

Mr D e… il camionista inc…ato

A grande richiesta arriva oggi la seconda puntata delle divertenti avventure di Mister D, il pianista pazzoide con cui ho vissuto.

Da bravo pianista (e da bravo pazzoide), Mister D era solito esercitarsi al piano in ogni momento libero, per allenarsi in vista di particolari composizioni o semplicemente per tenersi in forma. Anche dieci ore al giorno. Sì, avete letto bene, dieci ore al giorno, dall’ora nona sino ai vespri, consumando solo una frugale refezione a mezzodì.

Il suo repertorio era di tutto rispetto, si andava da Scrijabin a Dvorak, da Stravinskij a Brahms. Devo essere sincero, per essere un musicista pazzoide non suonava niente male.

Il guaio era che i suoi non erano concerti, com’è ovvio, ma esercizi. Era capace di ripetere lo stesso brano all’infinito, trovando sempre e comunque qualcosa da migliorare o vedere in chiave diversa.

Lodevole.

Ma il Destino, si sa, è spesso avverso ai geni e agli umili propugnatori della Sapienza e della Cultura.

Al piano di sotto (si era in un condominio di cinque piani), in esatta corrispondenza con il meraviglioso pianoforte a coda di Mr. D, era la camera da letto di un onesto lavoratore, un camionista di rara schiettezza, che lavorava di notte e, come sospettabile, dedicava le ore diurne al meritato riposo.

Si iniziò con qualche semplice diverbio italo – romanesco:

“Ahò, ‘a coso, vedi che io al giorno devo da dormi’, ‘a musica tua nun me piace, vedi quello che devi fa’”

“Gentile signore, mi permetto umilmente di farLe notare che i regolamenti comunali prevedono il suono del pianoforte dalle ore 9 alle ore 12 e dalle ore 15 alle ore 18. Peraltro…”

“Ma che me frega a me de li regolamenti tua…”

Sarebbe inutile proseguire nel dettaglio, vi basti sapere che i dialoghi di questo tipo divennero, con il tempo, sempre più frequenti e, come in un climax, come in un crescendo rossiniano (di quelli che Mr. D eseguiva alla perfezione), si arrivò alla tragedia.

Il camionista suonò il campanello.

Aprì una ragazza.

“Che, me chiami er “pianofortista”, ‘o Chopin de noantri?”

“Mi dica gentile signore, in cosa posso esserLe utile?”

“’A coso, nun so come te lo devo di’, tu nun devi da suona’!! Se voi suona’ tutto er giorno, te compri ‘na villetta isolata, nella campagna, a ducento chilometri da Roma, e suoni quanto te pare e piace!”

“Gentile signore, mi permetto umilmente di farLe notare che i regolamenti comunali prevedono il suono del pianoforte dalle ore 9 alle ore 12, e dalle 15 alle 18. Peraltro…   

“Nun se semo capiti!!! Mo’ te meno, t’ammazzo!”

Non ci crederete ma i due vennero effettivamente alle mani. Quel giorno, per puro caso, io ero fuori per lavoro, pur essendo sabato pomeriggio, e il tutto mi venne raccontato dalla ragazza che aveva aperto la porta.

Mr. D, credo, si difendeva facendo uso delle più raffinate tecniche di lotta a corpo libero.

Il camionista, credo, attaccava facendo uso di quello che gli pareva.

Intervenne il vicinato, e li divise (fortunatamente la porta d’ingresso era rimasta aperta).

Dopo qualche tempo, il camionista iniziò una terapia da uno specialista in esaurimenti nervosi.

E Mr. D tornava a suonare con rinnovato entusiasmo.

Mister D

Mister D è un tizio con cui ho vissuto per un anno,

un pianista pazzoide al quale dedicherò, a partire da oggi, una serie di esilaranti post per descrivervelo.

 

Cominciamo oggi con un aneddoto raccontatomi da lui stesso.

Mister D ha ancora quindici anni ed è in vacanza in un posto lontano da ogni forma di civiltà.

Va a buttare la spazzatura.

Nella busta della spazzatura c’è un piatto rotto.

Lui, per fare il figo, muove la busta come se dovesse fare il lancio del disco, più volte, facendo “Oh, oh, oh… issa!”

La busta vola nel cielo azzurro, compie un’evoluzione degna del migliore Yuri Chechi e cade trionfalmente nel cassonetto, che era ad un livello superiore della strada.

Una striscia di sangue, risplendendo del colore rubino tipico del sangue venoso, si staglia anch’essa nel cielo e si comporta a guisa di coda di cometa.

Ebbene sì, il besugo, per fare lo scemo, si era tagliato la coscia con uno dei frammenti del piatto rotto.

Non c’era nessun medico o struttura in grado di aiutarlo nelle vicinanze.

Si offre volontario uno di quei calzolai/ medici/ farmacisti/ igienisti/ dentisti che andavano di moda quando Giovan Battista Vico cadde dalle scale a sette anni. Vantava di aver operato molte persone durante l’ultimo conflitto mondiale, in condizioni di estrema emergenza.

HA CUCITO A MANO LA FERITA USANDO IL LIQUORE COME DISINFETTANTE.

Il besugo, al quale probabilmente derivò proprio in tal fiata gran parte della sua pazzia, ha sofferto in quel frangente più di trentaquattro donne in sala parto.

Inutile dire che il suo medico curante, quando ha visto la ferita, gli ha chiesto se a operarlo fosse stato Jack lo squartatore…

il signor Vitali

Ditemi che avete dimenticato il signor Vitali di Dolce Rémi, e perderò la vostra stima!
Il signor Vitali era il personaggio forse più interessante e meglio caratterizzato della serie!
Faceva il suo ingresso nel piccolo villaggio di Chavanon e si interessava alle sorti di Rémi, prendendolo in affido e portandoselo dietro, in giro per la Francia.
Fu in grado di insegnare al piccolo, che aveva prodigiose capacità d’apprendimento,
la musica e la recitazione, il flauto, l’arpa e il canto.
Lo aiutò anche a ritrovare la signora Milligan, sua vera madre.
Ai tempi era stato un tenore di fama internazionale, vantava una carriera prestigiosissima,
interrotta solo a causa di una stecca in pubblico.
IO HO CONOSCIUTO IL SIGNOR VITALI NEL 2003.
SE NON ERA LUI, POCO CI MANCAVA…
Era un anziano signore, ormai in tarda età, ma ancora ben arzillo.
Aveva alle spalle una carriera invidiabile nel marketing e nella comunicazione.
Effondeva il suo sapere e la sua carica umana insegnando nei master
e vantava un fiuto sorprendente, da perfetto signor Vitali, nel capire le potenzialità di tutti i Rémi che incontrava.
Gli bastava uno sguardo, ti leggeva l’anima e capiva i tuoi skill.
Nonostante fosse un po’ rude e talvolta perfino discutibile nel modo di esprimersi.

un sole a quattro zampe (2)

Cari,

ringrazio con la presente coloro che mi hanno espresso solidarietà per la separazione (che spero non definitiva) da Laika.

Al momento non posso tenere un cane, non sarei in grado di concedergli le attenzioni che merita, ma conto di farmene uno il prima possibile, perché no, magari rilevando la stessa indimenticabile Laika dai suoi attuali proprietari.
Alla prossima!

un sole a quattro zampe

Credo che il buon Dio abbia privato gli animali della parola per renderli incapaci di mentire, e donare loro l’assoluta trasparenza nei sentimenti.

È privilegio raro, incompatibile con l’umana genia, atta invece per propria natura alla menzogna e all’ipocrisia.

Il mio sole a 4 zampe si chiama Laika, è un delizioso Pincher femmina di due anni che, per motivi che non mi dilungo a spiegare, sono stato costretto a dar via.

La sua intelligenza e la sua nobiltà d’animo sono superiori a quella di buona parte degli uomini.

Tutte le mattine alle 7, puntuale come l’orologio atomico di Francoforte, la cagnetta mi svegliava e mi zompava sul letto con l’agilità di un coguaro (i cani non dovrebbero giammai salire sul letto dei padroni ma alla piccola Laika tutto era concesso).

Ogni tanto la rivedo appollaiata sul davanzale della sua nuova casa e invidio i suoi nuovi padroni, ai quali starà regalando la sua simpatia e tenerezza.