e tornai a riveder le stelle…
Ancora a proposito di Dante, è con qualche emozione che resuscito per voi un articolo scritto dalla mia modesta persona sul giornale del liceo, dodici anni fa. Sniff! Al rinvenimento della pergamena originale, ormai ingiallita dal tempo, ho a stento trattenuto la commozione…
E tornai a riveder le stelle
A un quinto del cammin di nostra vita
fuoriuscii da quella selva oscura
in cui l’anima mia s’era smarrita!
Ahi, come gioir è cosa dura
per chi si pasce di quel dolce cibo
che ognor si chiamò come cultura!
Tanto è amaro che poco più è morte
– più o men disse lo collega fiorentino-
ma per trattar di ciò ch’i vi trovai
dirò cosa m’accadde un bel mattino.
Provenivo da quel luogo maledetto
ove da tempo governato stavo,
né ’l desio del mio bel letto
contenevo nel mio cuore ignavo.
Vidi le spalle del bidello
già vestito, come ora si conviene (1)
a chi mena, senza nulla speme,
chi va cercando il ben dell’intelletto.
Tra questi era io, e al pargoletto
che trovai meco, chiesi con diletto:
“Ove ti meni, o anima dannata
che sí tanto lagni nel tuo avello
che parmi Alichino o Farfarello?”
Ei, compresomi qual ero, in vero un folle,
“Allontanati! – mi disse – o tratterotti male,
quant’è ver che di nome fai Pasquale!”
Io, che per la città del voto mi movevo,
vivo, ancor per poco, compresi un lamento
di pulzella, o di creatura di questa meno bella
e mi ritrovai per una spelonca oscura che,
l’ sapevo, diverria prigionatura!
Ero nato a viver come bruto
o per seguir virtute e canoscenza?
Solo speravo che la mia vita
non fosse né gramigna e neanche ortica
ma virgulto fertile e soave,
atto a fuggir le cose prave!
Tre volte sollevai lo mento in suso e, tutte, ritrovai
lo dolce viso di chi costantemente s’adoprava
a fare uscir – è presto detto –
quel che rende virtuoso un giovinetto!
Vidi demoni, lombrichi, vari guai ma,
cosa che tutte soverchia,
un mostro di pelle alquanto racchia!
Quando vidi tre facce a la sua testa,
sgomento mi ritrassi,
e iniziai ad avviare corsa lesta!
Il primo volto era quello di un felino,
screziato, voluttuoso, leopardino,
il secondo un’aquila rapace,
che roteava sue orbite nefande,
da cui principiava un fuoco atroce,
il terzo una vipera sorniona che,
bifida la lingua distorceva
e avvelenava qualunque cosa buona!
Ahi come sa di cosa dura ferirsi
ne le piaghe di coscienza
da quei che, al fin de la demenza,
la vita con lo studio morta fanno!
Sed i’avessi incontrato Cacciaguida,
ei avria detto a me il dì natale
de le tre fiere o l‘fatal viaggio
che in Moravia (2) trassemi col gregge
che sventura portò a quelle piagge.
O, ancora, del destinato giorno
in cui lasciato avria il regno ribelle
e tornato saria a riveder le stelle!
Note: (1)i bidelli quell’anno cambiarono divisa…
(2) La gita di quinto superiore fu a Praga…
(3) pare che la traccia data ieri agli esami di maturità sia sbagliata…
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