tra Scilla e Cariddi…

Scylla and Charibdis, Scilla e Cariddi,

Le acque dello Stretto di Messina sono caratterizzate da particolari movimenti, che si verificano quando cambia la direzione delle correnti che dallo Ionio vanno verso il Tirreno e viceversa, creando potenziale pericolo per le imbarcazioni leggere. Gli  antichi Greci, che erano soliti affrontare i pericoli dello Stretto ogni giorno, usarono la loro fantasia per dare una spiegazione al fenomeno e crearono un mito tra i piú famosi dell’antichità.

Glauco, un tempo, era stato pescatore; si era accorto che alcuni pesci, dopo essere stati catturati e aver mangiato una particolare erba, tornavano in vita e si buttavano in mare e, avendone assaggiata anch’egli, si era trasformato in dio marino.

Non poteva piú uscire dall’acqua ma gli era consentito innamorarsi, tant’è che cadde infatuato di tale Scilla, deliziosa ninfetta che viveva nello stretto di Messina.

Le si dichiarò, espresse i suoi sentimenti quanto piú sublime gli era possibile ma quella proprio non voleva saperne di andare in sposa a un dio che passava tutto il tempo in acqua.

Cosí Glauco prese una decisione che piú scellerata non poteva essere: chiedere aiuto alla maga Circe, potente fattucchiera, la stessa che avrebbe poi mutato in maiali i compagni di Ulisse.
Si lasciò alle spalle lo stretto di Messina, i muraglioni di Reggio (confronta Ovidio, Le Metamorfosi) e, forte della sua abilità natatoria, arrivò al Circeo in men che non si dica.

A Circe, però, Glauco non dispiaceva proprio. Le dispiaceva, al contrario che un dio marino tanto gradevole le stesse chiedendo un filtro d’amore per una donna diversa da lei, che pure era figlia del Sole e maga di rara potenza. Andati a vuoto i tentativi di muovere il cuore di Glauco a favore suo, fece finta di acconsentire alla richiesta e promise di preparare un filtro in grado di far innamorare anche le pietre.
Glauco tornò a casa soddisfatto. Circe preparò in realtà un filtro velenoso chiedendo aiuto agli spiriti maligni e alle forze degli inferi, e si recò di soppiatto nelle vicinanze dello Stretto.

Mentre Scilla faceva il bagno in mare, Circe versò il veleno. La povera bagnante, d’un tratto, vide con terrore sei teste di cane che la guardavano ringhiando minacciose. Tentò di fuggire a quei mostri (riconfronta Ovidio, op. cit.) ma, quanto piú tentava di allontanarsene, tanto piú quelli le erano dappresso, fino a quando la fanciulla non ebbe a realizzare che quelle sei teste mostruose non erano altro che quanto era rimasto della parte inferiore del suo corpo, mutata in tal guisa dal sortilegio della fattucchiera.

Da allora Scilla è colà, sulla punta della Calabria, dove una mia amica ha un monolocale, ed esprime il suo dolore ingurgitando i flutti e le onde del mare.

Cariddi, invece, era una figlia di Poseidone e venne mutata da Zeus in gorgo marino per punizione dei suoi delitti.

 

Europa Europa

Il linguista Giovanni Semerano rinviene l’etimologia della parola “Europa” nel termine semitico “erebu”, che significa “occidente”, presente in fenicio come “ereb”. In greco l’etimo potrebbe derivare da εὐρύς (eurýs), che significa “ampio” e ὤψ /ὠπός (ōps/ōpòs), che significa “occhio, viso”, quindi Eurṓpē esprimerebbe il senso di uno “sguardo ampio”.

Proprio dalla Fenicia e dalla mitologia greca, deriva, non a caso, un’importante chiave di lettura.

Viveva, infatti, in quella terra la bellissima Europa, figlia del re di Tiro Agenore.

Zeus se ne innamorò e, per conquistarla, si mutò in un meraviglioso toro bianco, stendendosi ai suoi piedi. Europa gli salì sul dorso ed egli se la portò in groppa fino all’isola di Creta, dove le si unì in forma d’aquila (come effigiato sulle monete greche da 2 euro). Il Toro fu poi riprodotto in cielo nell’omonima costellazione. 

moneta da 2 Euro, Europa rapita da Zeus

Europa divenne la prima regina di Creta, consorte di re Asterione. Alla morte di questi, gli subentrò Minosse e i Greci diedero il nome “Europa” a tutto il continente che si trova a nord di Creta. Anche a prescindere dalla mitologia, la grecità dell’Europa potrebbe essere difesa in sede filosofica, letteraria, artistica…

Gustave Moreau, Il ratto d’Europa

 

Dal punto di vista finanziario, certo, affiorano dei limiti, e ci si chiede in che misura le consapevolezze letterarie, artistiche, filosofiche, mitologiche, esoteriche, possano controbilanciare le pressanti esigenze della materia.

Che cosa succederebbe ai cittadini, greci ed europei, se davvero Atene decidesse di abbandonare l’euro?

Secondo il parere degli specialisti, se ciò accadesse, la resuscitata dracma greca non tornerebbe al vecchio cambio 340, 75 che per pochi istanti. Sarebbe colpita quasi subito da una svalutazione pesante e perniciosa che potrebbe andare dal 40 fino forse al 70%.

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il canto del cigno

Era convinzione degli antichi che i cigni cantassero con voce aggraziata e che, in punto di morte, eseguissero un ultimo canto, dall’inesprimibile bellezza.

Era convinzione erronea perché i cigni non solo non cantano ma pare abbiano anche una voce alquanto sgraziata, un verso simile a quello delle oche, per intenderci.

È però rimasta la locuzione “il canto del cigno” per esprimere il senso di un qualcosa di particolarmente alto, che suggella l’uscita di scena di un divo, un artista, un’esperienza (in questo blog si è a suo tempo affermato che “Eyes wide shut” fu il canto del cigno di Stanley Kubrik perché sua ultima, grande opera prima della morte).

Il brutto anatroccolo dell’omonima favola di Andersen scopre alla fine delle sue peripezie di essere un cigno e “Il cigno nero”, vincitore di un premio Oscar, è in questo periodo nelle sale (trailer alla fine del post). (altro…)

Adrano e l’Etna

Il vulcano Etna è legato a molti miti.

Zeus e Athena schiacciarono sotto la sua massa il gigante ribelle Encelado.

Efesto e i Ciclopi operavano nelle sue magmatiche viscere. Secondo Eschilo anche Tifone venne confinato colà. Vi finirono dentro, per motivi diversi, il filosofo Empedocle e re Teodorico.

Chi abita da quelle parti conosce anche la storia di Adrano, il dio che viveva proprio in prossimità del cratere. Aveva dei cani, i fedeli cirnechi, che accompagnavano fedelmente al tempio quanti vi accorrevano con devozione, mettendo in fuga i ladri e i malintenzionati (a tutt’oggi c’è una razza di cani che si chiama “cirneco dell’Etna”).

Helios, per rimanere sul mitologico, ha sempre regalato caldi raggi ricchi d’energia per gran parte dell’anno,  dal suo cocchio dardeggiando instancabile.

Non per niente, il comune di Adrano, dove ricordo d’essere stato in gita scolastica nel 1988, ospita una centrale per la produzione di energia solare concepita proprio per mettere a frutto la generosità del Sole.

In questi giorni si parla nuovamente di energia nucleare, che presenterebbe qualche vantaggio ma anche numerosi problemi in termini di costi, rischi e tempi.

Helios dardeggia generoso non solo sulla Sicilia ma su gran parte del Paese. Perché non preferirlo?

Ops… dimenticavo Eolo…

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