attualità del mito (7)

aggiornamento 9 dicembre: Lina Wertmüller, regista di ‘Pasqualino Settebellezze’ e innumerevoli altri capolavori, ci ha lasciati. E lei non tantalizzava.
“Tantalizzare”, cosí come l’inglese “to tantalize” da cui deriva, significa “condannare qualcuno ad eterni ed inappagabili desideri”*. È concetto di respiro internazionale, si badi, dacché, oltre che in inglese, è attestato in francese (tantaliser) e in altre lingue. Si parla anche di “supplizio di Tantalo” e di “tormento di Tantalo”.
Fin troppo facile inferirne l’origine! Come si sa, Tantalo è un personaggio mitologico.

Nella cultura greca, almeno nella versione piú diffusa del mito, Tantalo (gr. Τάνταλος), era figlio di Zeus oppure, secondo altri, di un re di nome Tmolo; era re egli stesso, d’altra parte, re di Frigia o di Lidia, poteva frequentare gli dèi ed era da loro accolto benignamente.
Era però un birichino: sequestrò Ganimede, rubò il nettare e l’ambrosia… Soprattutto, imbandí una cena macabra uccidendo il figlio Pelope, cucinandolo e servendolo agli dèi. Per verificare, disse, la loro onniscienza. Demetra aveva già mangiato una spalla quando Zeus e gli altri dèi, al solo fiutare la pietanza, s’accorsero di tutto e ricomposero le carni di Pelope in un calderone, con i dovuti accorgimenti. Quanto alla spalla, fu sostituita da un pezzo d’avorio, tanto che i discendenti di Pelope, tra cui gli stessi Atreo, Agamennone e Menelao, ebbero tutti una macchia biancastra sulla spalla.
Quale punizione per aver desiderato ciò che non poteva desiderare, Tantalo fu precipitato agl’Inferi, assicurato ad un albero da frutto dal quale non poteva cibarsi, in un lago le cui acque gli giungevano fino al collo, condannato ad una fame e ad una sete eterna.
Nel Cratilo, Platone ebbe a collegare il nome Tantalo alla radice τλα-/τλη- del verbo τλάω, che significa “soffrire”, e ταλανάτος (talànatos) significa infatti “infelicissimo”.

Fonti:
*Oxford Languages
**Platone, Cratilo, 28.
***Igino, Fabulae, 82
****(EN) Pausania il Periegeta, Periegesi della Grecia, II, 22.2 e 3, su theoi.com.

 

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