le Muse, queste innumerabili…

Le Muse erano le divinità protettrici delle arti, delle scienze e delle lettere. Il loro numero variò diverse volte nel corso dell’antichità, per fissarsi in nove, con definitivi titoli e attributi, in epoca relativamente tarda (v. oltre*).
A scuola ci hanno sempre raccontato che, ai tempi d’Omero, la Musa era ancora una, e una soltanto, come evidente nei proemi dell’Iliade e dell’Odissea:

“Cantami, o Diva, del Pelíde Achille
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco
generose travolse alme d’eroi, (…)”
Iliade, Canto I, traduzione di Vincenzo Monti

Musa, quell’uom di multiforme ingegno
dimmi, che molto errò, poich’ebbe a terra
gittate d’Ilïòn le sacre torri; (…)”
Odissea, canto I, traduzione d’Ippolito Pindemonte

Ci capitava ieri, tuttavia, di rileggere il libro XXIV dell’Odissea e d’incappare nei seguenti versi:

Ti circondâro allora
del vecchio Nereo le cerulee figlie,
lugubri lai mettendo, e a te divine
vesti vestiro. Il coro anche plorava
delle nove sorelle, alternamente
sciogliendo il canto or l’una, or l’ altra; e tale
il poter fu delle canore Muse,
che un sol Greco le lagrime non tenne.”
Odissea, canto XXIV, traduzione d’Ippolito Pindemonte

Mumble mumble…

*Per la completezza dell’informazione, riportiamo, pur parzialmente, la pagina che alle Muse è stata dedicata da Treccani.it:
Nella mitologia degli antichi Greci, erano figlie di Zeus e di Mnemosine (v.). Narrava Esiodo (Teogonia, 52 segg.) che Mnemosine aveva partorito a Zeus, nella Pieria, in Tessaglia, nove figlie, le nove Muse, sempre allietantisi della danza e del canto, che fanno dimenticare angustie e dolori; e questo era avvenuto dopo che il padre degli dei aveva, con la sua vittoria sui Titani, portato un nuovo ordine nel mondo. La nascita delle Muse eternò dunque la gioia di quel trionfo; e le nove gioconde fanciulle ne rinnovavano fra gli dei la letizia, ogni volta che facevano risuonare dei loro canti le sedi dell’Olimpo.
In Esiodo troviamo, per la prima volta, i nomi delle nove Muse (e forse il poeta stesso li ha inventati): Clio, Urania, Melpomene, Talia, Tersicore, Erato, Calliope, Euterpe e Polinnia. Anche il loro numero di nove non divenne canonico se non in conseguenza della tradizione esiodea: sembra infatti che il numero originario delle Muse, come quello delle Grazie e delle Ore, sia stato di tre; in tale numero, esse seguitarono ad essere venerate in parecchi santuarî; sette se ne conoscevano a Lesbo, quattro o otto in altri luoghi; nei poemi omerici esse compaiono in numero indeterminato e soltanto una volta se ne dà il numero preciso di nove (Odissea, XXIV, 60).
Il nome di Μοῦσαι (eolico, Μοῖσαι, per contrazione da Μόνσαι) sembra debba farsi risalire, come anche quello di Mnenmosine, alla radice μεν-μαν, sicché le Muse sarebbero “coloro che meditano, che creano con la fantasia”. (…)
Il culto delle Muse dell’Elicona, di cui si riguardava banditore Esiodo (onde l’epiteto di Esiodee dato ad esse), fiorì specialmente in età ellenistica e romana, notevole anche per monumenti di vario genere, sorti in forza di esso: da ricordarsi soprattutto quelli dedicati all’uno o all’altro gruppo di Muse e all’esercizio delle scienze e delle arti da esse protette, chiamati Musei (Μουσεία) e col tempo diffusisi per tutto il mondo greco-romano.
Luogo del culto, nell’Elicona, era un sacro bosco, nelle cui vicinanze si trovava la fonte Aganippe; presso la vetta del monte, sgorgava un’altra fonte, che si diceva scaturita per un calcio del cavallo Pegaso ed era chiamata appunto perciò Ippocrene, cioè “la fonte del cavallo”. (…)
Soltanto in età ellenistica però fu definito per ogni Musa il campo specifico della poesia, nella quale si esercitava la sua ispirazione e la sua protezione: e così Clio fu la Musa del canto epico (e, per estensione, anche della storia), Urania dell’epica astronomica (come la concepì e ne produsse Arato) e della didascalica in genere, Melpomene e Talia rispettivamente della tragedia e della commedia, Tersicore della lirica corale, Erato della poesia amorosa (poi anche della geometria e della mimica), Calliope dell’elegia, Euterpe del suono del flauto e della lirica in genere (specie monodica) e Polinnia della danza e del canto sacro. Queste attribuzioni non furono del resto mai fisse; furono di continuo cambiate a capriccio dei poeti e si allargarono, come si è accennato sopra, dal campo della poesia a quello della prosa e delle scienze: e come Clio passò a proteggere la storia, così ad Urania divenne sacra l’astronomia e a Talia l’agricoltura.
Così le Muse diventarono sempre più e meglio le protettrici di ogni umana sapienza e, in questo loro più tardo e più generale aspetto, si accompagnarono agli dei, che si pensava vegliassero sulla educazione fisica e sulla formazione spirituale dei giovani: specialmente, dunque, a Ermete, a Eracle, ad Atena.
La religione romana non conobbe un culto delle Muse: esse non penetrarono mai in Roma come divinità cui si presta culto; così com’erano presso i Greci, le conobbero e le invocarono i poeti, e i mitografi le identificarono alle Camene (v.).

Bibl.: H. Deiters, Die Verehrung der Musen bei den Griechen, Bonn 1868; P. Decharme, Les Muses, Parigi 1869; J. H. Krause, Musen, Grazien, Horen und Nymphen, Halle 1871; L. Preller e C. Robert, Griechische Mythologie, I, Berlino 1887, p. 484 segg.; O. Bie, in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, II, col. 3238 segg.; O. Gruppe, Griech. Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, p. 1075 segg.; M. Mayer, in Pauly-Wissowa, Real-Enc., XVI, col. 680 segg.

Per l’iconografia: O. Bie, Die Musen in der antiken Kunst, Berlino 1887; P. G. Huebner, Le groupe des Muses de la villa d’Hadrien, in Rev. Archéol., 1908, II, pp. 359-63, tav. XVII; W. Klein, Über die Wiederherstellung der Berliner Polymnia u. das Relief des Archelaos von Priene, in Österr. Jahreshefte, XVI (1913), p. 183 segg.; H. Kuzel, Die Frankfurter Musen, Heidelberg 1917, diss.; G. Lippold, Musengruppen, in Römische Mitteilungen, XXXIII (1918), pp. 64-102; M. Schede, Zu Philiskos, Archelaos und den Musen, in Röm. Mitt., XXV (1920), pp. 65-82, tav. I.

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