l’Ave Maria di Mr. D

Un’avventura di mister D. era abilmente riuscita a sottrarsi alla mia narrazione, facendomi convinto d’avere fondamentalmente esaurito le vicende raccontabili del pazzoide musicista (chi non ne ricordasse la figura può accedere al tag corrispondente…).

Era, il nostro, a suonare in chiesa (sebbene avverso a tale istituzione, vi si era forse occasionalmente rassegnato perché, come si dice, pecunia non olet…). (altro…)

MR. D – THE FINAL CHAPTER

Ebbene sí, anche la saga di Mr D giunge al suo termine. Dallo scorso giugno abbiamo riso, gioito, sofferto insieme a lui. Le sue avventure (tutte reali, credetemi) hanno costituito uno dei piatti forti di questo blog e ci hanno consentito di scoprire le sfumature di un personaggio piú unico che raro, che solo un personaggio come me poteva incontrare e descrivere al meglio.
Giunge oggi il momento del congedo. Non prima, tuttavia, d’aver riflettuto sulle sue caratteristiche positive, che pure spiccavano, anche in mezzo alle innumerevoli anomalie (chissà quanti altri post sarebbero venuti, elencandole tutte…).
Era generoso, fondamentalmente buono, professore sensibile, esecutore sublime dei suoi autori preferiti.
La Quaresima è nell’aria, nondimeno. In questo periodo il pensiero non può che correre ad un particolare aneddoto che Mr. D mi raccontò ricavandolo dalle sue esperienze personali.
Mr. D veniva da un paesino in provincia di Crotone, noto a suo dire in tutto il mondo per una processione del Venerdí Santo durante la quale i giovani del paese, a piedi nudi, camminavano sulle tortuose e non asfaltate strade del posto, trasportando una pesantissima (varie tonnellate) vara raffigurante una sorta di Pietà, una Madonna che stringeva a sé il Figlio appena deposto dalla croce.
Era tradizione antichissima e, a dire di Mr. D, privilegio raro. Una famiglia nobile del paese, da innumerevoli generazioni, aveva il compito di guidare la processione, immolando in propria rappresentanza un esponente maschio del clan. A seguire, altri giovani del paese.
Per la strada, i bimbi erano soliti accompagnare il corteo, dicendosi l’un l’altro: “Guarda, un sassolino! Togliamolo sennò Gesú si fa male!”, e varie altre squisitezze simbolo della sensibilità religiosa di chi è puro di cuore. Chissà, forse coloro che erano già stati accarezzati dalle lusinghe del Demonio, esclamavano piuttosto: “Guarda, un sassolino! Avviciniamolo, cosí Gesú si fa male!“.
Un anno toccò anche a Mr. D questo gravoso ma gratificante compito.
Lo sforzo fu immane, tant’è che il poverino ebbe problemi a muovere la spalla per due giorni al termine della processione, né era raro che lussazioni e problemi ortopedici fioccassero a iosa in tale periodo.
Quello che piú lo colpí fu, tuttavia, il paradosso sociolinguistico dei portatori.
I portatori della vara, quando non costretti, erano ovviamente persone di Fede solida, ai limiti del parossismo e della fanatica esagerazione. La loro fatica era luminosissimo esempio di Devozione e Pietà popolare, simbolo concreto e inoppugnabile di offerta al Signore del piú nobile degli sforzi fisici (anche a dispetto delle lussazioni).
Eppure, nell’esprimere il dolore e la fatica provati durante lo sforzo, alcuni di essi, per paradosso appunto, arrivavano a bestemmiare. Sí, avete letto bene, a bestemmiare.
Non solo. Non si limitavano a semplici “mannaggia…” o simili, arrivavano ad elucubrare perifrasi interminabili e sintatticamente piú che contorte, con delle coloratissime evoluzioni e giravolte, ricche di complicazioni morfosintattiche in grado di far impallidire ad un tempo un ateo, una bestia di Satana e qualche autore di certa manualistica universitaria. Qualcuno arrivò a sacramentare contro l’autore della particolare colorazione delle penne degli angeli che, in acconcia postura, rendevano omaggio alla Vergine Santissima e alla di Lei Santissima Prole.
Mr. D ne rimase alquanto colpito.

mister D in "Sono un barbiere di qualità"

La follia del pianista non si limitava al terrore per le formiche o alla mania per l’ordine. Era anche afflitto da una tirchieria cronica.

Era solito, ad esempio, tagliarsi i capelli in casa, con la macchinetta, sperando evidentemente di avere ereditato, contestualmente all’esecuzione della partitura, le qualità del Figaro di Rossini.

Una scellerata mattina mi promosse a suo adiutore in tale delicata operazione. Una delle operazioni più semplici che esistano al mondo diventava per quell’uomo laboriosissimo cimento.

_ Pasquale, facciamo così: prima do una passata col pettine ad altezza 6, poi di qua rifinisco col 4, una sfumatina col 3…

Io lo ascoltavo facendo finta di niente, ormai da tempo lo avevo escluso dal mio audio…

_Pasquale, metti la lama a 3!, esclamò a un tratto.

Misi la lama a 3.

Un urlo lancinante squarciò l’atmosfera del quartiere e si allargò a buona parte della capitale. Penso che l’abbia udito anche Veltroni.

_Pasquale, cosa mi hai combinato?? Noooooo….

Lo scellerato non aveva posizionato il pettine sulla lama e si era procurato uno sfregio alla capigliatura da fare invidia all’ultimo dei Moicani. Io mi scusai con le ragioni di chi è nel giusto, giacché il pettine da posizionare sulla lama era nella sua mano ed egli doveva posizionarlo. Ma il pazzoide continuava a urlare, lamentando l’orrore che così evidentemente lo aveva deturpato.

Lì per lì non ebbi alcuna reazione particolare, poi gradualmente cominciai a ridere come un matto, mi vennero perfino i dolori di pancia.

L’aspirante Figaro fu costretto a portare tutta la capigliatura ad altezza 3. Se trovo una foto ve la mostro…

Mister D e la visita a Razinga

Mr D, come avrete ormai arguito, faceva di tutto per tessere rapporti fruttuosi e allargare il giro di conoscenze. Tra le tante, ne vantava una particolarmente illustre con il nipote di un cardinale, un ragazzo fondamentalmente simpatico, che indossava cinture anni ’70 e poteva sembrare un po’ citrullo ad un’analisi superficiale. Era comunque una brava persona.

Proprio grazie ai buoni uffici di zio e nipote, Mr D ottenne un biglietto per presenziare alla presa di possesso della Basilica di San Paolo da parte del neoeletto Benedetto XVI. Usciti di casa, la prima sconfortante sorpresa. Quattro piccioni particolarmente scorretti avevano firmato i finestrini della macchina del pianista con i loro escrementi. Non riuscireste mai a immaginare la precisione di quella loro iniziativa, avevano centrato tutti e quattro i finestrini come nemmeno un tiratore scelto sarebbe riuscito a fare!

La sontuosa cornice della basilica fu teatro del nostro ingresso. La folla aveva già adattato al nuovo pontefice le acclamzioni usate per il precedente, al posto di “Giovanni Paolo!” ora si acclamava “Benedetto!”

 Le roi est mort, vive le Roi.

Ci appollaiammo in un angolo, alla destra dell’altare, e assistemmo alla funzione con cuore palpitante. Mentre tentavo di fare sfoggio di cultura, leggendo il passo originale di San Giovanni in greco, Mr D esterrefatto mi chiese:

_ Tu conosci il greco?

_ Sì, ho fatto il classico, alle superiori mi piaceva…

_ Perché, al classico si studia greco?

Non stava scherzando, era oggettivamente convinto che al classico non si studiassero le lingue classiche…

mister D e i cari congiunti

Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. E dietro un pianista pazzoide cosa c’è? Mr. D aveva una famiglia degna d’interesse, credetemi.

Il nonno paterno, uomo coltissimo, aveva conseguito solo la quinta elementare, però conosceva Dante a menadito. Era morto in circostanze arcane. Stando agli storici, avrebbe un giorno rivelato alla moglie: “Voglio vedere Roma!” La donna avrebbe cercato di dissuaderlo, vista la vecchiaia dell’uomo e le difficoltà del viaggio Crotone – Roma.

L’uomo fu irremovibile, e organizzò la partenza.

Arrivato nella città eterna schiattò. Vedi Roma e poi muori.

La nonna materna, casalinga amabile e premurosa, preparava di continuo leccornie d’ogni sorta, nonché il peperoncino fatto in casa citato in passato.

Il padre non ebbi mai la fortuna di conoscerlo.

La madre era un sosia perfetto del pianista, con le sole visibili eccezioni di un rossetto sgargiante e un deretano da fare invidia alla madre di Dumbo. Era molto modesta. Aveva la quinta elementare, terza media al massimo, eppure ebbe il coraggio di dirmi: “Strano, la tua laurea non l’ho mai sentita nominare!”

La sorella maggiore era medico. Globalmente normale, aveva ereditato la prosopopea che evidentemente costituiva la tara ereditaria della famiglia.

Era fidanzata con un simpatico avvocato calabro – lombardo, proveniente dalla Crotone da bere, praticante in uno studio legale. All’insaputa della fidanzata, curava quegli una tresca con un ragazzo palestrato che di quando in quando veniva a trovarci.

mister D e… l'umorismo anglosassone

Il pianista pazzoide riusciva talvolta perfino simpatico, quando faceva sfoggio di un umorismo che non offendeva più di quanto necessario e riusciva a prendersi sul serio meno di quanto gli era abituale.

Un giorno stavamo facendo colazione.

Io, dopo aver fatto la doccia, stavo indugiando in accappatoio marrone, col cappuccio abbassato, vicino al termosifone.

Alle mie spalle la finestra, con serranda quasi completamente chiusa, lasciava timidamente filtrare pochi raggi di luce, a mo’ di raggiera attorno al mio corpo. In quel periodo avevo anche la barba più lunga…
Mr. D: “Pasquale, se non sono morto stamattina non muoio più!”
Io: “Perché mai?”
Mr. D: “Stamattina, vedendoti all’improvviso, nel buio, ho avuto l’impressione che Padre Pio fosse venuto a prendermi…”

mister D e… la nouvelle cuisine all'ungherese

Riesco miracolosamente a fare un varco negli impegni di questo periodo per aggiornare la saga di Mr. D.
 Nell’ultima emozionante puntata avevamo visto il nostro eroe alle prese con uno strepitoso viaggio in Ungheria, ricco di soprese e… con qualche trama di Cupido in agguato.
Evidentemente alle trame di Cupido si erano aggiunte quelle di qualche altro nume, giacché la madre della garbata fanciulla già descritta, profittando del fidanzamento della figlia, aveva rivelato al nostro i segreti della cucina ungherese e delle loro teorie sull’alimentazione.
Tanto per cominciare, aveva esordito affermando “Qui in Ungheria cuciniamo latte e cipolla! Questo buono! In vostra terra si fanno latte e caffè. No buono!” La donna era inoltre solita fare la salsa di pomodoro con aggiunta di latte e facendola sovrastare da un letto di fettine di cipolla.
Vogliate adesso gradire una ricetta che Mr D. mi fece assaggiare. 
 
ZUPPA DI CECI ALLA MR. D
ingredienti per un musicista pazzoide e suo malcapitato coinquilino:

  • una lattina di ceci
  • un po’ di latte
  • una cipolla
  • pasta
  • spezie q.b.
  •  olio

Prendete la pentola, disponetevi un po’ d’olio e una cipolla sminuzzata in modo maniacale. Appena la cipolla sarà imbiondita leggermente, aggiungetevi il latte, regolandovi ad occhio, l’acqua, la pasta, i ceci e (mi pare, non vorrei sbagliare) un po’ di noce moscata.
Fate cuocere a fuoco lentissimo. Durante la cottura, ad libitum, potete aggiustare con ulteriori spezie, secondo il gusto (Mr D era particolarmente ghiotto di un peperoncino fatto in casa dalla nonna con le sue manine sante, voi regolatevi come credete).
A cottura ultimata, spegnete il fornello e lasciate decantare per tre minuti. Non mi ricordo se è necessario un altro po’ d’olio prima dello spegnimento del fornello, vedete un po’ voi.

mister D e… la Magica Ungheria

Per la rubrica di Mr D,  ci occupiamo oggi di alcune sfumature delicate del suo sentire.
Particolarmente importanti erano per lui i ricordi di un viaggio in Ungheria.
Dal punto di vista economico la sua soddisfazione era stata immensa perché, profittando dei dislivelli di cambio e tenore di vita, era riuscito a folleggiare per un mese con ottocento euro, senza spenderli nemmeno tutti.
Dal punto di vista musicale, tale viaggio gli aveva consentito di acquistare alcuni CD a suo dire introvabili in Italia, o trovabili solo a prezzi vertiginosi.
Dal punto di vista termico, il trauma fu deciso. Il musicista aveva viaggiato sul pullman climatizzato partendo direttamente dall’Italia. Arrivato a Budapest, incurante degli sguardi sconvolti degli altri passeggeri, scese dal mezzo con un semplice maglione e venne accolto da una folata di gelo di indicibile violenza. Si era ventisette gradi sotto lo zero.
Inutile dire che il nostro eroe fece immediato ritorno sul pullman e si abbigliò secondo la bisogna.
Dal punto di vista affettivo, la magica Pannonia gli aveva consentito di incontrare il più grande amore della sua vita, la ragazza più speciale che uomo possa incontrare.
Non ne seppi mai il nome.
In prossimità delle feste, però, quando ero io ad aprire la cassetta delle lettere, trovavo sovente una busta con degli orsacchiotti disegnati sopra, a buon intenditor poche parole…
A quanto ho capito, la fanciulla, della quale, pur conoscendo la follia di Mr D, do per scontata l’esistenza, era l’unica persona normale che il pianista avesse mai conosciuto.
Gli era fedele, gli dava consigli su come muoversi a Budapest, lo aveva iniziato alla gastronomia magiara. E quest’ultimo aspetto lo approfondiremo ben presto…

Mister D e… il servizio militare

Un personaggio singolare come Mr D non poteva non avere svolto in modo singolare anche il servizio militare.
Era in marina (non ho mai capito quel meccanismo degli scaglioni, lui era di ottobre… fortuna che ho fatto il servizio civile), in un primo momento in caserma.
Il primo giorno gli chiesero:
“Sai suonare qualche strumento musicale?”
“Ho studiato pianoforte per dieci anni!”, rispose il nostro, con orgoglioso entusiasmo.
“A noi serve uno che suoni la tromba. Se non sai suonare la tromba non servi a un c.!”
Il tapino venne messo di guardia.
Il suo onere era di passeggiare ripetutamente con il fucile in mano e dire Altolà, chi va là? a qualsiasi primate evoluto si fosse appropinquato alla caserma.
S’appropinquò il generale.
“Generale! Che piacere, come sta?”, esclamò Mr D, con gioia e garbato entusiasmo.
“Dieci giorni in consegna!”, rispose quegli, dacché il nostro avrebbe dovuto comunque recitare la formula di rito.
Questo a terra.
Sulla nave gli veniva chiesto di dormire alternando due ore di sonno a due ore di veglia. Se fosse stato sorpreso a vegliare durante le ore di sonno o a dormire durante le ore di veglia sarebbero stati cavoletti amari.
Così avvenne, difatti. Due giorni in cella di rigore.
Un giorno, poi, mentre si preparavano ad un allenamento in cortile, o qualcosa del genere, si permise di far presente ai commilitoni che un altro ragazzo non era ancora uscito dal bagno, nonostante fossero passati molti minuti dal suo ingresso in tale locale.
“Ma va là, figurati! Chissà cosa combina quello lì, in bagno!”
“Ma cosa dite! – ribatteva il pianista- forse sta male, forse ha bisogno di qualcosa!”
Nessuno gli diede retta.
Il ragazzo era passato a miglior vita…

mister D e… la musica sacra

Mr D. aveva un suo pensiero, ben preciso, nei confronti dei brani musicali che vengono composti per accompagnare le liturgie di santaromanachiesa.
Va detto che Mr D., pagando il pesante fio della sua pazzia, aveva effettivamente dedicato la vita alla musica, i suoi pareri non erano quelli di uno sprovveduto. Egli discettava con sicumera di Rachmaninov e Scriabin, conosceva a menadito Brahms e Tchaicovski, per lui Dvořak e Mahler non avevano segreti.

Riguardo alla musica che si esegue nelle chiese, si esprimeva con malcelato disgusto. Ad esempio considerava “musichetta da quattro soldi, fatta solo per guadagnarci sopra”, quella scritta da

(altro…)

mister D e… l'ingegnoso elettrodomestico

La terza emozionante puntata di Mr. D vede il nostro eroe alle prese con un’interessante innovazione tecnologica.

Ma è d’uopo una premessa.

La pulizia, nell’originalissima assiologia del personaggio, veniva al primo posto in assoluto, ex aequo con la musica. Ancor prima dei propri cari, della propria vita, di se stesso, la priorità assoluta era la cura della casa. Si badi bene, non il semplice lavaggio dei pavimenti, la semplice pulizia delle finestre, la battitura dei tappeti, che so io. Egli intendeva per pulizia assoluta della casa la lucidatura completa di ogni angolo dell’immobile, la pulitura del pavimento anche più volte nel corso della giornata e, udite e tremate, il passaggio dell’aspirapolvere ogni santa volta che si era fatta la benché minima consumazione.

Iniziava presto, finiva presto e di solito non puliva il water.

La sua fobia principale erano le formiche. Tali imenotteri, a dire il vero abbastanza innocui e forse perfino simpatici, suscitavano in lui la più completa angoscia e gli procuravano incubi a occhi aperti. Non c’era volta in cui si era usata la cucina, preparata anche la più banale delle pietanze, ch’egli non bofonchiasse tremolando “le formiche… presto, presto, arrivano le formiche…”. Aveva addirittura proibito la realizzazione e il consumo della pizza, ritenendo queste due attività troppo perniciose a tal riguardo.

Nessuno psichiatra riuscì mai a capire in quale trauma infantile, analogo a quello della coscia tagliata, fosse riconducibile tale patologia. In un momento di perfidia ebbi mente di regalargli il film A Bug’s Life, ma la mia proverbiale bontà mi impedì di mettere in pratica tale birichino proposito.

 Un giorno bussò alla porta un pittoresco figuro. Appartenente a quella schiatta di esseri umani che sanno quello che vogliono ma non sanno come ottenerlo, e le provano tutte pur di riuscirci, si presentò, il figuro, con un completino firmato e una grossa scatola.

Esordì piagnucolando che se non gli avessimo dato almeno trenta nominativi di nostre conoscenze, egli la settimana successiva sarebbe rimasto senza lavoro, con moglie, suoceri, mamma, papà, figli, nipoti, parentame vario, quattro gatti, sei mastini napoletani e tredici salamandre da sfamare. Ci assicurò che i contatti sarebbero stati gestiti nella massima riservatezza, senza dire quale era stata la fonte.

Ovviamente avvenne all’esatto contrario, gli addetti del telemarketing chiamarono i nostri amici e colleghi dicendo “Buongiorno signora, sono un amico del dottor Curatola, è lui che mi ha dato il suo numero! Volevo proporle…” Non vi dico gli insulti che ci beccammo al ritorno in ufficio.

La scatola conteneva un aggeggio futuribile e futuristico, dotato di varie componenti, che veniva presentato come la panacea assoluta nell’igiene domestica. Nella pittoresca rappresentazione del magniloquente venditore, tale opera era prossima ad essere l’ottava meraviglia del mondo, era in grado di pulire, spazzare, lucidare, battere i tappeti scuotendone le trame, lavare i vetri, sgorgare i lavandini, lavare i maglioni, verniciare, pulire i materassi in profondità e forse perfino resuscitare i morti. Costava soltanto 3500 euro.

La dimostrazione fu spettacolare. Per dimostrare quanto quell’apparecchio fosse in grado di pulire, produsse tanto di quello sporco che Mr. D avrebbe potuto tranquillamente tirar le cuoia per un attacco di panico (fu sul punto di farlo, ma si limitò a guardare tutto con occhi sbarrati e volto pallido).

“Ecco i vostri materassi, signori! – tuonava il venditore – vi siete mai chiesti per quale motivo talvolta vi sentite strani, giù di tono, affaticati? Ebbene, questo dipende da taluni minuscoli acari che vivono sui nostri materassi!”

La fantasia di quell’uomo era immensa. Ci descriveva la vita di quegli esserini con la stessa accuratezza con cui nei cartoni animati venivano descritte le attività di Pufflandia. E sì che me ne intendo io, di Pufflandia! Arrivammo a immaginare la vita di ogni singolo acaro, come si svegliava al mattino, come faceva colazione, come portava a scuola i bambini.

“Gli acari nei nostri materassi possono essere vivi o morti!”

“Ci saranno anche quelli mezzi vivi e mezzi morti, che stanno così così”, azzardai io, ironicamente.

Lo misi nell’imbarazzo più totale. Il lavaggio del cervello a cui era stato sottoposto non era stato sufficientemente approfondito per metterlo in grado di rispondere a tale domanda.

“Ci sono solo quelli vivi e quelli morti – rispose infine – quelli che stanno così così possiamo non considerarli!”

Che genio!

Mr D e… il camionista inc…ato

A grande richiesta arriva oggi la seconda puntata delle divertenti avventure di Mister D, il pianista pazzoide con cui ho vissuto.

Da bravo pianista (e da bravo pazzoide), Mister D era solito esercitarsi al piano in ogni momento libero, per allenarsi in vista di particolari composizioni o semplicemente per tenersi in forma. Anche dieci ore al giorno. Sì, avete letto bene, dieci ore al giorno, dall’ora nona sino ai vespri, consumando solo una frugale refezione a mezzodì.

Il suo repertorio era di tutto rispetto, si andava da Scrijabin a Dvorak, da Stravinskij a Brahms. Devo essere sincero, per essere un musicista pazzoide non suonava niente male.

Il guaio era che i suoi non erano concerti, com’è ovvio, ma esercizi. Era capace di ripetere lo stesso brano all’infinito, trovando sempre e comunque qualcosa da migliorare o vedere in chiave diversa.

Lodevole.

Ma il Destino, si sa, è spesso avverso ai geni e agli umili propugnatori della Sapienza e della Cultura.

Al piano di sotto (si era in un condominio di cinque piani), in esatta corrispondenza con il meraviglioso pianoforte a coda di Mr. D, era la camera da letto di un onesto lavoratore, un camionista di rara schiettezza, che lavorava di notte e, come sospettabile, dedicava le ore diurne al meritato riposo.

Si iniziò con qualche semplice diverbio italo – romanesco:

“Ahò, ‘a coso, vedi che io al giorno devo da dormi’, ‘a musica tua nun me piace, vedi quello che devi fa’”

“Gentile signore, mi permetto umilmente di farLe notare che i regolamenti comunali prevedono il suono del pianoforte dalle ore 9 alle ore 12 e dalle ore 15 alle ore 18. Peraltro…”

“Ma che me frega a me de li regolamenti tua…”

Sarebbe inutile proseguire nel dettaglio, vi basti sapere che i dialoghi di questo tipo divennero, con il tempo, sempre più frequenti e, come in un climax, come in un crescendo rossiniano (di quelli che Mr. D eseguiva alla perfezione), si arrivò alla tragedia.

Il camionista suonò il campanello.

Aprì una ragazza.

“Che, me chiami er “pianofortista”, ‘o Chopin de noantri?”

“Mi dica gentile signore, in cosa posso esserLe utile?”

“’A coso, nun so come te lo devo di’, tu nun devi da suona’!! Se voi suona’ tutto er giorno, te compri ‘na villetta isolata, nella campagna, a ducento chilometri da Roma, e suoni quanto te pare e piace!”

“Gentile signore, mi permetto umilmente di farLe notare che i regolamenti comunali prevedono il suono del pianoforte dalle ore 9 alle ore 12, e dalle 15 alle 18. Peraltro…   

“Nun se semo capiti!!! Mo’ te meno, t’ammazzo!”

Non ci crederete ma i due vennero effettivamente alle mani. Quel giorno, per puro caso, io ero fuori per lavoro, pur essendo sabato pomeriggio, e il tutto mi venne raccontato dalla ragazza che aveva aperto la porta.

Mr. D, credo, si difendeva facendo uso delle più raffinate tecniche di lotta a corpo libero.

Il camionista, credo, attaccava facendo uso di quello che gli pareva.

Intervenne il vicinato, e li divise (fortunatamente la porta d’ingresso era rimasta aperta).

Dopo qualche tempo, il camionista iniziò una terapia da uno specialista in esaurimenti nervosi.

E Mr. D tornava a suonare con rinnovato entusiasmo.

Mister D

Mister D è un tizio con cui ho vissuto per un anno,

un pianista pazzoide al quale dedicherò, a partire da oggi, una serie di esilaranti post per descrivervelo.

 

Cominciamo oggi con un aneddoto raccontatomi da lui stesso.

Mister D ha ancora quindici anni ed è in vacanza in un posto lontano da ogni forma di civiltà.

Va a buttare la spazzatura.

Nella busta della spazzatura c’è un piatto rotto.

Lui, per fare il figo, muove la busta come se dovesse fare il lancio del disco, più volte, facendo “Oh, oh, oh… issa!”

La busta vola nel cielo azzurro, compie un’evoluzione degna del migliore Yuri Chechi e cade trionfalmente nel cassonetto, che era ad un livello superiore della strada.

Una striscia di sangue, risplendendo del colore rubino tipico del sangue venoso, si staglia anch’essa nel cielo e si comporta a guisa di coda di cometa.

Ebbene sì, il besugo, per fare lo scemo, si era tagliato la coscia con uno dei frammenti del piatto rotto.

Non c’era nessun medico o struttura in grado di aiutarlo nelle vicinanze.

Si offre volontario uno di quei calzolai/ medici/ farmacisti/ igienisti/ dentisti che andavano di moda quando Giovan Battista Vico cadde dalle scale a sette anni. Vantava di aver operato molte persone durante l’ultimo conflitto mondiale, in condizioni di estrema emergenza.

HA CUCITO A MANO LA FERITA USANDO IL LIQUORE COME DISINFETTANTE.

Il besugo, al quale probabilmente derivò proprio in tal fiata gran parte della sua pazzia, ha sofferto in quel frangente più di trentaquattro donne in sala parto.

Inutile dire che il suo medico curante, quando ha visto la ferita, gli ha chiesto se a operarlo fosse stato Jack lo squartatore…

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